È uscita nel cuore della notte tra il 4 e il 5 gennaio la Cnapi, Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti tossici. Tenuto segreto dal 2015, con tanto di sanzioni penali per chi ne avesse rivelato i dettagli, il documento individua 67 aree su tutto il territorio nazionale, divise in cinque macrozone: Piemonte, Basilicata-Puglia, Sardegna, Sicilia e, in ultimo, anche Toscana-Lazio. Nella nostra regione i luoghi che soddisfano i 25 criteri per l’individuazione sono tutti in provincia di Viterbo: Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano.

I numeri tossici del Deposito Nazionale

Il Deposito Nazionale prevede in totale 150 ettari di terreno, che una volta riempito avrà tre barriere protettive, una copertura fatta da una collina artificiale, un quarto strato protettivo e infine un manto erboso, per garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi per più di 300 anni, ovvero fino al loro decadimento a livelli non più nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente.

Parlando ancora di numeri si tratterà di 78 mila metri cubi di rifiuti, 50 mila dei quali derivanti dallo smantellamento degli impianti nucleari italiani (ovvero le ex centrali di Borgo Sabotino (LT), Sessa Aurunca (CE), Trino (VC), Caorso (PC)) e 28 mila dalla ricerca, dall’industria e dalla medicina nucleare. 33 mila di questi sono stati già prodotti e adesso gli va trovato un posto.

I criteri per l’individuazione dei luoghi

Ma come si scelgono i siti adatti a ospitare una discarica radioattiva? Le linee guida sono state fissate dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, nel 2014 e tengono conto di diversi aspetti. In primis la stabilità geologica, geomorfologica ed idraulica dell’area, poi la possibilità di sfruttare alcune caratteristiche idrogeologiche e chimiche del terreno per isolare i rifiuti radioattivi, la lontananza del deposito da infrastrutture antropiche, attività umane e risorse naturali e infine la protezione del deposito da condizioni meteorologiche estreme. Per evitare, ad esempio, quanto si è rischiato nel 2000, con l’alluvione che investì il deposito di Saluggia, in provincia di Vercelli e in prossimità della Dora Baltea: in quel caso i 230 metri cubi di rifiuti liquidi ad alta attività hanno rischiato di fuoriuscire, sfiorando quella che per Carlo Rubbia sarebbe stata “una catastrofe planetaria“.

Un rischio per la salute, l’ambiente e l’agricoltura

A destare grandi perplessità, guardando la mappa, è però la vicinanza tra i luoghi individuati dal Deposito Nazionale e alcune eccellenze naturalistiche, storiche e agronomiche del nostro territorio: la produzione dell’olio extravergine di oliva Canino, marchio DOP dal 1996, il Monumento naturale delle Forre di Corchiano, la faggeta di Soriano nel Cimino, i campi di nocciole della Tuscia. Un territorio, questo, che viene da anni difeso e protetto dal Biodistretto della Via Amerina e delle Forre che attraverso un comunicato sul proprio sito internet si è opposto “senza se e senza ma” ai depositi radioattivi:

“Il nostro – scrive il presidente del Biodistretto, Famiano Crucianelliè un territorio nel quale vi è una produzione agricola di grande pregio non solo per le produzioni antiche, ma anche perché siamo il primo polo di produzione di nocciole in Italia. La nostra è un’agricoltura ricca che avrebbe un colpo mortale da una scelta di questo tipo.

Il nostro è un territorio che ha un’importante attività manifatturiera, Civita Castellana è il secondo polo di produzione delle ceramiche in Italia.

Il nostro è un territorio che ha un grande valore ambientale, siamo all’assurdo di siti che vengono proposti fra il monumento naturale delle Forre e l’Oasi del WWF.

Il nostro territorio già oggi è un territorio di grande interesse turistico e culturale e la valorizzazione di questo patrimonio naturale e culturale abbiamo proprio nelle settimane passate discusso con l’assessore regionale al turismo.

Stiamo quindi parlando non di un territorio abbandonato, inospitale, privo di vita e di produzione di ricchezza. I comuni del Biodistretto sono un’area di grande valore sociale, ambientale, economica e turistica che verrebbe compromessa da una scelta irresponsabile come quella che viene ipotizzata dalla Sogin”

A dettare la linea, adesso, è la parlamentare, già Presidente di Legambiente, Rossella Muroni: “Ora bisogna dare priorità alla fase della consultazione pubblica – ha scritto sul suo sito – Soprattutto in questo momento storico è più importante che mai gestire la partecipazione, assicurare trasparenza, coinvolgere i territori se non si vuole innescare l’ennesimo conflitto sociale ed ambientale“.

 

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