La via dei Canti è un libro di Bruce Chatwin, grande scrittore nomade. Uscì nel 1987, fu il suo ultimo lavoro.
Racconta, come si legge sul risvolto dell’edizione Adelphi, che “per gli aborigeni australiani, la loro terra era tutta segnata da un intrecciarsi di «Vie dei Canti» o «Piste del Sogno», un labirinto di percorsi visibili soltanto ai loro occhi: erano quelle le «Impronte degli Antenati» o la «Via della Legge».
La rubrica prende il nome dal titolo del volume di Chatwin. Esce da almeno tre anni sulla versione cartacea del Il Nuovo. Narra della gente speciale che ha segnato i percorsi delle colline che abitiamo. Un dono, spesso segreto. Ma lì è la radice di quello che siamo, o dovremmo ricordare di essere. Tracce per resistere, alimentare memoria e consapevolezza.
Oggi raccontiamo la storia di Iliano che, in uno studio sulla pubblica via, sotto il sole e nel vento, per anni ha scolpito i volti del suo sogno e della nostra terra. Nato e vissuto a Capena, ma è un dettaglio.
La bolla di Iliano
Iliano si chiudeva in una bolla di concentrazione sulla pubblica via e scriveva le pietre. Le incideva fino a dargli anima. Nel sole mattutino della primavera, piazzava il seggiolino sulla Provinciale, davanti al cancello di casa, cappello da pescatore, occhiali da vista, ed entrava nel rifugio. Lasciava fuori da sé ogni rumore, di mezzi meccanici come pure di passi, e iniziava il lavoro. Il lungo colloquio che avrebbe dato forma al marmo.
Scovava le “pergamene” giuste andando in giro tra le pianure fluviali e le colline della sua terra. Riconosceva al volo quelle che celavano il volto di una storia. Le caricava sul rimorchio del trattore bianco e le portava a casa. Poi dopo aver guardato con attenzione quel mucchio di solidi pezzi di roccia che venivano da mondi lontanissimi, ne sceglieva uno ed iniziava a dare colpi di mazzetta e scalpello, seguendo un disegno di cui lui solo aveva percezione.
Dalle pietre, volti di donne
In genere da quei colpi emergevano donne, volti dettati da un sogno o suggeriti da antiche divinità pagane. Spesso erano adornate da lunghe chiome. Ho visto nascere una di esse. Una mattina l’abbozzo del volto, due mattine dopo il naso, i lineamenti del viso. La polvere scansata con un robusto soffio di Iliano, uomo massiccio. E poi giorni interi nella bolla a battere per dare forma ai lunghi capelli. Ne ha fatte decine ed è come se avesse ridato vita a divinità che giacevano nella terra da secoli e secoli. Aspettavano solo di essere riportate in vita. Delle sue opere Iliano era geloso. Non ha mai voluto vendere nulla. Neanche agli amici, men che meno ai potenti. Si narra che coinvolto in una mostra a Palazzo Canali a S.Oreste espose le sue sculture riscuotendo grande successo. Da parte dei visitatori certo, ma soprattutto dai grandi rappresentanti delle istituzioni lì convenuti per l’occasione. Uno di questi si innamorò di una delle sue figure di donna e insisteva per poterla acquistare. Per evitare di soccombere all’offerta sempre più generosa, Iliano scappò di notte dal Soratte con tutte le sue sculture, e la mattina l’assessore non trovo nulla da comprare.
Un trono sulla nostra Via dei Canti
Erano il suo universo. Così è stato per anni e oggi i figli custodiscono l’intera produzione, una galleria di volti e opere integra, che racconta di una terra e di una passione. L’uomo era di quelli nati per stare fuori dal coro. Alto, grande chioma bianca, non era abituale avventore di osterie e di sezioni. Era connesso all’umanità, libertario, a cui non piaceva intrupparsi. Muratore, gran lavoratore, amava ascoltare e seguire i richiami della sua urgenza espressiva piuttosto che il chiacchiericcio quotidiano. Preferiva ascoltare le pietre e, nella bolla sulla via, dare forma alle sue visioni, scolpire i volti della terra. Sulla Via Dei Canti di un qualsiasi universo, per lui c’è sicuramente un trono.