a cura di Davide Lunerti
180 fotografie in bianco e nero che ritraggono la Roma di cinquant’anni fa: Chiamala Roma, la mostra personale di Sandro Becchetti, ha aperto al pubblico il 27 aprile al Museo di Roma in Trastevere (fino al 5 settembre 2021), con l’obiettivo di rappresentare la capitale, nelle sue trasformazioni e contraddizioni, dagli anni ’60 al primo decennio del 2000.
Il ritratto che emerge è quello complesso e polimorfo di una città dove passato e futuro si abbracciano e si scontrano, in cui le forze conservatrici e rivoluzionarie si mescolano, dove l’arte coesiste con la repentina industrializzazione. «Una città in tellurico sconvolgimento sociale e direi antropologico», ha osservato lo stesso Becchetti, «segnata da un’ansia di rinnovamento capace di spaccare la gerarchia fossilizzata dalle classi sociali e di cancellare, nel mondo del lavoro e nella famiglia, un’antica idea di sudditanza alla quale le donne in particolare erano state relegate.»
Al centro di queste riflessioni è senza dubbio la serie di fotografie scattate nel significativo anno del ’68. Salta subito all’occhio la frequente presenza dei giornali, che vediamo stretti nelle mani di giovani e vecchi, donne e uomini, con la testata ben leggibile esposta frontalmente, testimonianza dell’impegno politico di allora, il cui fervore non può essere rievocato in modo più efficace che nelle immagini storiche dei manifesti, degli slogan e dei volti dei protestanti.
Tuttavia gli scatti di Becchetti non si limitano ad essere semplici e fredde documentazioni degli eventi passati, quanto piuttosto frammenti della memoria di chi quegli eventi li ha vissuti, di chi ha partecipato agli scioperi degli operai, alle proteste per la liberalizzazione dell’aborto: sono fotografie dallo sguardo profondamente umano, che rivelano la carne dietro le righe dei manuali di storia.
Il percorso espositivo continua con una serie di fotografie che ritraggono personalità di spicco del vasto panorama culturale degli anni ’70, con annessi aneddoti del fotografo che li ha conosciuti da vicino: compaiono tra questi Claudia Cardinale, Federico Fellini, Carmelo Bene, Dacia Maraini, Alberto Moravia; una sala è interamente dedicata al servizio fotografico su Pier Paolo Pasolini del 1971, che cattura «lo sguardo gelido e tagliente del poeta».
Ci viene restituito così, grazie agli sguardi e ai volti di chi c’era, il ricordo di una Roma che non solo è stata il baluardo di rinnovamenti sociali e politici, ma anche crocevia internazionale di cinema, arte contemporanea e letteratura.