di Italo Arcuri
“È dal 2014 che ho il cuore in tormento per la mia terra. Da otto anni”. Inizia così il suo racconto Lesya, nata trentasei anni fa a Černivci, nella parte di Ucraina a metà strada tra il confine Rumeno e quello Moldavo, in Italia da quando aveva 13 anni, attualmente abitante a Riano, dopo aver vissuto per anni ai Castelli.
E perché mai da allora le chiedo? “Perché quanto sta avvenendo in queste ore deriva dalla strage di Maidan. Da quando, cioè, in Piazza Maidan, a Kiev, è partita la rivolta contro l’allora presidente filorusso Viktor Janukovyč, accusato di alto tradimento e costretto poi alla fuga. Dal 2014 in poi – mi spiega con occhi lucidi – ho sempre pensato che Putin prima o poi ce l’avrebbe fatta pagare e che quindi potesse succedere quello che sta accadendo purtroppo ora”. Per inciso: nel 2019 il Tribunale di Kiev riconobbe Janukovyč complice di Putin nell’ordire un’aggressione russa all’Ucraina.
Lesya, che ha due bimbi, di 11 e di 7 anni, e la madre che vive ad Ariccia, non si stacca mai dal cellulare per tutto il tempo della nostra conversazione. “E come potrei, Italo. A Černivci ho mia nonna, ho mio fratello maggiore, ho cinque miei zii e tanti cugini. Con una cugina mi sento così tanto da confondere persino lo spazio e il tempo delle mie giornate. In quella città, per ora, tutto è apparentemente tranquillo, anche se molte volte le mie telefonate con lei hanno il sottofondo sordo delle sirene che minacciano. Un suono così metallico e fastidioso da rimbombarmi poi nelle orecchie per tutto il tempo appresso…”.
Che ti racconta tua cugina? Come sta tua nonna? Come stanno vivendo questa guerra? “Per adesso loro la guerra la leggono negli occhi e sui volti dei tanti profughi e dei tanti sfollati, vestiti al limite della sopportabilità e carichi di borse riempite alla rinfusa, che incrociano in città. Abitando vicino ai confini ne vedono tanti: donne e bambini, soprattutto. Mogli con figli al seguito. Di mariti che fuggono via ne vedono pochi… gli uomini, mi dice, partecipano alla guerra”.
E tu, dall’Italia, come la vivi? Cosa speri? “Prego, più che sperare. Supplico Dio che finisca tutto e il prima possibile. Al contempo, cerco di rimanere realista. E perciò scongiuro un nostro ingresso nell’Unione Europea. E sai perché? Perché Putin non ce lo perdonerebbe mai. Noi ucraini, se entrassimo nell’Unione, staremmo sempre con i suoi terribili occhi puntati addosso. Mi auspico che l’Ucraina resti autonoma e indipendente ma senza più rischi di guerra continua”.
Leysa mi racconta di un’amica che vive a Kiev e che ogni mattina l’aggiorna sulla situazione. “Se ne sta chiusa in casa. Non ha la possibilità nemmeno di andarsene in un rifugio. Ha due figli disabili… come fa a portarseli dietro ogni qual volta la sirena risuona…”.
“Ai miei figli – mi dice con cura di madre – parlo spesso in ucraino. Erano giorni che li preparavo mentalmente a questa guerra. Per non sbattergli in faccia la realtà mediata dalla televisione. Spiego loro come sia potuto succedere. Li rassicuro che presto finirà…”.
Quando e come finirà Lesya? “Non lo so, Italo. Finirà, disgraziatamente, quando a deciderlo sarà Putin. Che ogni giorno avanza sempre di più. E che ogni giorno procede come se fosse il primo: lui rivuole l’Ucraina! E dopo l’Ucraina non penso che si fermerà. Putin ha in mente l’Impero. Per lui l’Unione Sovietica vecchio stampo è un mantra”.
E nel frattempo? “Nel frattempo – e lo dice stringendosi le mani per mitigare la rabbia – io da qui, cerco di fare più che posso per la pace. Serve mobilitarsi. Serve aiutare. Serve solidarietà. E per me, che la solidarietà sono abituata da sempre a farla con tanti gesti e con poche parole, aiutare significa sostenere tutte le azioni che puntano ad alleviare le pene dei miei concittadini. Non faccio più sonni tranquilli, Italo. Sogno, sogno tanto. In uno di questi ho persino falsificato la realtà, cancellando la guerra per sempre”. Un sogno, questo di Lesya, cui auguro, con tutto me stesso, di trasformarsi in realtà. Quanto prima. Per la sua terra. E per ogni nostra Itaca.