È un’Itaca particolare questa, frutto di una notizia apparsa sulla cronaca di Roma del “Corriere della sera” di undici giorni fa.

Parla di una lettera. Inviata da un uomo e rivolta ai suoi affetti. Spedita nel 1943 dal Sud Africa e scritta da un soldato italiano, Luigi Frasca. Originario di Affile, nell’alta Valle Aniene, e a quel tempo prigioniero. Una lettera indirizzata alla moglie, Antonietta.

Nulla di insolito, evidentemente, fino a questo punto se non fosse che… la lettera di cui sopra ha impiegato, pensate un po’, set-tan-ta-no-ve anni per arrivare all’indirizzo di destinazione. Sì, avete letto bene: 79 anni!

Luigi, che nel 1943 si trovava in un Campo di internamento, è stato uno dei tanti mila italiani finiti in quei Campi. Gli storici li quantificano in centomila.

In Africa del Sud, uno dei più grandi Campi è stato quello di Zonderwater, nella zona mineraria di Cullinan, nella provincia di Tranvaal. Quel Campo, ora cimitero militare, impiantato in una conca dal terreno arido e spoglio tra le immense distese di un altopiano, si trovava a 43 Km da Pretoria.

Nella lettera, semplice semplice e non più lunga di una paginetta, l’uomo, preoccupato e addolorato per la distanza che lo separa dai suoi, si rivolge direttamente alla moglie e le chiede ragguagli su come stia lei, su come crescano i figli e su come stiano gli amici e i parenti del suo paesello natio.

“Fammi sapere…” chiede implorante, alla fine, Luigi ad Antonietta.

Interrogativi scritti al presente per una realtà d’altri tempi e assai lontana.

Punti di domanda che ancora oggi, a distanza di quasi sedici lustri, sprigionano emozioni, suscitano sensazioni e rievocano ambientazioni. Struggenti e teneri turbamenti. Soprattutto per gli eredi.

Richieste commoventi. Forti. Come il desiderio che Luigi aveva in quella missiva: di conoscere le condizioni di salute e di vita della sua famiglia, lasciata in Italia per colpa di una ineluttabilità che, per lui, è stata, in quegli anni, fin troppo cinica. Anni in cui la sospensione, intesa come condizione umana personale e collettiva, era regola. A volte di determinazione e altre ancora di fatalità.

Domande, quelle fatte da Luigi ad Antonietta, che non hanno mai avuto risposta, dal momento che lo scritto del 1943 riapparso ora per destino come postino, la moglie non l’ha mai visto.

La lettera, ritrovata casualmente in un cassetto di casa della famiglia Terrosi di Monterotondo è stata consegnata al sindaco di Affile, che poi ha pensato bene di farla recapitare nelle mani della figlia di Luigi, Nazzarena, per la gioia e la commozione di tutta la famiglia.

Luigi alla lettera aveva accluso anche una sua fotografia. Una piccolissima foto, una di quelle formato tessera che siamo soliti usare nei documenti di identità.

Anche questa foto, ora, parla di altri tempi, di altre ambientazioni e di altre pose.

A dimostrazione del fatto che l’intervallo trascorso tra il 1943 e il 2022 è stato un clic. Uno scatto in lenta ma continua evoluzione.

Luigi Frasca, al suo rientro dall’Africa, lavorò poi ad Affile come guardia comunale. Un lavoro che, portandolo a contatto quotidiano con il paese, lo ha reso popolare, permettendo ora a tutta la comunità di salutare, fondatamente, il ritrovamento della lettera alla stregua di un documento storico. Un cimelio. Uno di quelli che fanno bene alla testa e al cuore. E che parla di noi… perché Itaca, in fondo, è un viaggio. Un tragitto. Il cammino tra un prima e un dopo di ogni vita.

(La foto a corredo è di Margarita Kochneva, tratta da Pixabay, ed è solo indicativa di un’ambientazione contestuale e non riferibile quindi alla lettera di cui si parla in questa Itaca).

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