Roma ha di nuovo il suo Planetario e l’entusiasmo che ha suscitato nel pubblico la riapertura, avvenuta ufficialmente lo scorso 22 Aprile, descrive meglio di qualsiasi racconto quanto fosse atteso questo importante evento. Abbiamo avuto il privilegio di parlarne con Gianluca Masi astrofisico, divulgatore scientifico e curatore scientifico del Planetario di Roma insieme ai suoi colleghi astronomi del Planetario. Gianluca Masi è un artista della volta celeste capace di appassionare grandi e piccini durante gli spettacoli live che il Planetario ci riserva.
Come ci spiega lo stesso Gianluca, l’intero staff degli astronomi del Planetario di Roma ha sempre puntato agli spettacoli dal vivo, molto gratificanti dal punto di vista professionale, perché ti immergono letteralmente in mezzo al pubblico recependone anche l’atmosfera che si crea. Si facilita quindi la sensazione di intraprendere un viaggio durante il quale il Planetario mostra, con grande qualità visiva e sonora, le meraviglie del cielo. Gianluca Masi sente di riuscire così a creare un vero rapporto di viaggio guidando questa esplorazione e il fatto di farlo dal vivo aggiunge, a suo parere, una percezione emotiva forte verso il pubblico. Inoltre c’è il vantaggio del poter aggiungere quasi in tempo reale novità della scienza astronomica. Ad esempio il 12 maggio è stato annunciato il rilascio della prima immagine del buco nero all’interno della nostra galassia e lo staff del Planetario ha potuto parlarne e commentarne brevemente in diretta nell’ambito dello spettacolo presentato.
Lo show che il Planetario offre è davvero straordinario. Gli effetti immersivi del viaggio nello spazio, nella storia e nell’arte stessa, sono strabilianti e al centro della cupola troneggia un altro elemento che solo Roma vanta: una riproduzione dell’asteroide Romaplanetario scoperto da Gianluca nel 1999 il quale ancora oggi ricorda con emozione i dettagli di quella importante rivelazione.
Spesso si legge in maniera non corretta circa la “nascita” del Planetario di Roma e ancora una volta Gianluca ci viene in aiuto fornendoci le informazioni esatte. Roma è stata la prima città non tedesca ad ospitare un Planetario perché, all’indomani della prima guerra, la Germania come riparazione ai danni del conflitto decise di fare una importante donazione tecnologica all’Italia e, all’interno di questa donazione, c’era proprio un planetario Zeiss che oggi è visibile come un prezioso elemento di archeologia tecnologico-astronomica all’interno del Planetario attuale. Inaugurato nel 1928, fino agli anni ottanta del novecento il planetario, presso le Terme di Diocleziano, ha raccontato il cielo a molte generazioni. Ancora oggi ci vengono a trovare amici che ricordano quel planetario e questo significa che il cielo, vissuto e presentato nel modo giusto, lascia una vibrazione che emerge anche a distanza di tutti questi anni. Poi quel planetario chiuse e 20 anni dopo, qui all’Eur è stato riaperto e abbiamo ripreso questo dialogo con il cielo da Roma e tutto ciò che con il cielo può essere raggiunto e toccato perché il cielo, è un filo conduttore senza eguali.
Le stelle appaiono dappertutto. Le stelle non brillano solo nel cielo. Il mondo dell’arte in tutte le sue forme è costellato di astri, costellazioni, pianeti. Anche il mondo dei giovanissimi ha molte parole chiave che ammiccano allo spazio. Del resto i nostri figli sono figli delle stelle e dello spazio forse più di noi, come diceva Alan Sorrenti a buon diritto. Perché l’uomo, la chimica organica, gli elementi chimici sono stati forgiati nel cuore delle stelle e quindi affermare siamo figli delle stelle è una verità scientifica assolutamente incontestabile.
Oggi, dopo qualche anno di chiusura necessario per la realizzazione di un miglior allestimento, il Planetario ha riaperto e la tecnologia utilizzata ne fa uno dei planetari più all’avanguardia e che permette al contempo di recuperare il rapporto culturale antico fra la città e il cielo e permette di declinarlo, raccontarlo e creare delle contaminazioni culturali con un tema arcaico e una tecnologia ultimo grido.
Se potessimo immaginare di parlare direttamente con il Planetario in un bizzarro gioco di fantasia ci piacerebbe chiedergli quanto Roma gli sia mancata e viceversa. Simpaticamente Gianluca si è prestato a questa intervista “impossibile” con una risposta fra poesia e scienza.
Il punto di vista è assolutamente scambiabile. Tanto è mancato il Planetario alla città quanto il contrario. Una attesa necessaria affinché si potesse dotare il planetario di una tecnologia che renda finalmente la struttura che abbiamo inaugurato del tutto di rappresentanza della tecnologia e anche della tradizione scientifica italiana e naturalmente anche delle qualità e della precisione italiana della comunicazione stessa della scienza. Roma saluta il Planetario e il Planetario saluta Roma con la sua tecnologia per tornare a dialogare con quel contesto: sinergia unica fra la profondità culturale italiana, le caratteristiche di Roma, il suo rapporto con il cielo e l’inclinazione costante alla meraviglia che pervade l’essere umano al cospetto dello spettacolo del cielo.
Una parola emerge fra le stelle, sul finir del nuovo spettacolo offerto dal Planetario: Teatro.
Gianluca, Il cielo è il nostro teatro? Sì, lo è davvero. Noi pensiamo al cielo come un palcoscenico ma siamo autorizzati a farlo per una serie di ragioni oggettive. Guardiamolo bene: in effetti succede che a seconda dell’ora del giorno o della notte ci sia qualcosa di diverso come una storia che sale sul palcoscenico a raccontarsi. Di giorno c’è il sole, ogni tanto intravediamo anche la luna, che prevale la notte. Da un lato il cielo è un palcoscenico sul quale quegli attori, stelle, sole, luna e costellazioni salgono da protagonisti ma allo stesso tempo è come se il cielo diventasse quasi una quinta di ciò che invece si svolge su questa terra, protagonista in se ma allo stesso tempo scenografia sulla quale si stagliano le vicende umane. Il cielo è un testimone che, senza soluzione di continuità, se avesse una sua coscienza sarebbe l’unico capace di rivendicare una presenza costante dagli albori della nostra civiltà fino ad oggi.
Nel momento in cui i nostri antenati riempivano di figure quel nero con qualche punto di luce, che cosa stavano facendo se non animando e dando voce al silenzio della notte stellata? Secondo me già questo è teatro.