Negli Stati Uniti d’America oggi si vota per eleggere il 47° Presidente tra la candidata Democratica Kamala Harris e il Repubblicano Donald Trump. Tutti i media americani preannunciano un voto al fotofinish. Su questo importantissimo appuntamento, che interessa non solo gli Usa ma il mondo intero, sulla campagna elettorale che l’ha caratterizzato e sui nuovi linguaggi che questa ha introdotto anche nella narrazione contemporanea, ho posto a Enrico Zadi, scrittore, poliglotta, professore di Lingue orientali, conoscitore di cose americane, autore del romanzo distopico “La legge dei Trenta”, in libreria e store online dal 31 ottobre, alcune domande.

Il celebre compianto giornalista americano Walter Lippmann invitava ad indagare ogni realtà politica e a distinguere bene tra notizia e verità, che spesso non sono la stessa cosa. Alla vigilia delle elezioni americane, che storicamente rappresentano un riferimento globale per capire i cambiamenti e l’evoluzione del linguaggio, pensa che l’elettorato degli States sia stato capace di distinguere la forma dalla sostanza nei due candidati?
«Ma davvero pensiamo che l’elettorato sia capace di distinguere tra forma e sostanza? In un’epoca in cui persino le verità sono costruite in maniera personalizzata e su misura del singolo individuo, “target”, dall’intelligenza artificiale, parlare di “sostanza” sembra quasi un lusso. Gli americani, come gran parte del mondo, votano sulle emozioni, non su una fredda analisi razionale dei fatti. Si fanno trasportare da qualche “catchy phrase” e seguono la bandiera che il vento della propaganda fa muovere più forte. Credere in qualcosa è più semplice che doverlo comprendere.»

Quanta “libertà” e quanta “costrizione”, concetti che lei sviluppa nel suo romanzo non politico ma pregno di politica, in cui affronta il conflitto aspro e mai definitivo fra desiderio di vivere e ineluttabilità del destino, ha riscontrato in questa campagna elettorale?
«Secondo me oggigiorno, soprattutto nella realtà americana, non si può parlare di libertà nel vero senso della parola. Direi piuttosto che il vero conflitto in questa campagna elettorale sia stato tra le illusioni vendute a colpi di slogan con l’obbiettivo di tenere nascosta la sgradevole realtà della vita reale. Più che libertà, questa è una gara a chi riesce a illudere meglio, a nascondere il destino inevitabile di un sistema bloccato nei suoi stessi meccanismi di potere che si supporta da solo».

300 milioni di abitanti per 9 milioni di Km quadrati di estensione, l’America appare come “il deserto perennemente sovrastato da nubi opprimenti solcate da lampi” del suo libro. Perché la politica americana non è stata in grado di individuare una guida il più possibile condivisa, una specie di Aeyden, parafrasando lei, capace di parlare finalmente un linguaggio nuovo e diverso da quello che ha contraddistinto almeno gli ultimi otto anni degli States?
«Perché mai l’America dovrebbe cercare un leader condiviso? Questo Paese prospera sulle divisioni, non sull’unità. Serve un Aeyden che guidi il popolo? Forse, ma il sistema politico americano è costruito in modo che chiunque vinca non disturbi troppo gli equilibri economici e politici preesistenti. Penso che i rappresentati dei due partiti siano due facce falsamente alternative, comandate dalle grandi potenze economiche che rappresentano il vero potere in America e non solo. Un linguaggio nuovo risulta sempre pericoloso e sovversivo, meglio tenersi la vecchia retorica pregna di concetti vuoti, ma che ha un forte appeal sulle persone in una società governata dalla tv e dai social media».

Perché l’America è così spaccata in due, tanto che persino i sondaggi fanno fatica a fotografare il sottilissimo livello di differenza tra i pretendenti alla carica di Presidente. Giovani e anziani, cittadini più istruiti e meno istruiti, ricchi e poveri… cosa, se c’è, divide e unisce oggi i cittadini statunitensi?
«Giovani contro anziani, istruiti contro meno istruiti, uomini contro donne… e la lista potrebbe continuare. Ma è davvero una sorpresa che l’America sia così divisa? Il sogno americano ha creato diseguaglianze tali da far sembrare la divisione una condizione naturale. Un Paese che promuove solo il “vincente”, il “self-made man”, lascia dietro una scia di sconfitti, di persone che non riescono a emergere; non c’è da stupirsi quindi che sia un campo di battaglia perenne e che ci siano differenze abissali fra le classi sociali».

Qualità della vita, sicurezza, ambiente e fisco. Questi temi, su cui si fonda il senso stesso di una comunità, che oggi pare lacerata, non sono stati sufficientemente affrontati dai candidati, che anzi hanno preferito parlare di altro ricercando un nemico esterno che distraesse dai problemi reali. Nel suo romanzo alcuni dei personaggi parlano di etica e di morale, come spartiacque tra bene e male. Quanta etica e quanta morale c’è oggi nella politica americana?
«Penso che la politica americana, come quella di molti altri Paesi, sia un gioco di potere e immagine, non un esercizio di moralità. Se la politica fosse guidata da un autentico senso etico, probabilmente vedremmo meno giochi di manipolazione e più attenzione ai bisogni reali delle persone, un avvicinarsi al popolo e capire veramente di cosa ha bisogno; ma chi ha voglia di abbassarsi così tanto? L’etica non porta voti né denaro; il caos, le grida, quello sì».

Nel suo libro gran parte della narrazione avviene nel Castello, che è la metafora fisica dell’isolamento, il luogo in cui tutto appare in controluce, lo spazio dove tutto e niente vanno di pari passo. Parlare di “confini” e di difesa dei confini ha oggi ancora senso? Quanto forte è, e se c’è, il rischio isolamento se si persegue in questa direzione?
«Parlare di confini, oggi, suona anacronistico. I muri e le barriere provano a fermare le persone, ma non le idee o i problemi che stanno diventando sempre più globali. E se qualcuno crede che chiudersi porterà protezione, è destinato a scoprire, troppo tardi, che l’isolamento è solo un’illusione di sicurezza; in un mondo globalizzato, non possiamo più permetterci di vedere soltanto il nostro giardino senza curarsi dei problemi del vicino, perché questi problemi domani ci sommergeranno in maniera ancora più grande. Basta pensare alle crisi economiche, le malattie e i cambiamenti climatici degli ultimi anni».

Un americano su nove, incluso un bambino su otto, vive in povertà, oltre 38 milioni di persone non possono soddisfare le proprie necessità di base e più di un milione di studenti delle scuole pubbliche sono senza casa, vivono in motel, automobili, rifugi e edifici abbandonati. Nel suo romanzo sono i giovani a morire per muovere guerre, nel paese più ricco del mondo invece la selezione della specie sembra una corsa già in atto. Ti chiedo: è la distopia che supera l’immaginazione o viceversa?
«La distopia ha ormai superato abbondantemente l’immaginazione. Quando quasi 40 milioni di persone vivono nell’indigenza in uno dei Paesi più ricchi del mondo, parlare di sogni sembra crudele e inutile. La selezione della specie avviene su basi economiche governate a livello globale da lobby e grandi poteri, non esiste più nessun merito; siamo spettatori di un esperimento sociale mascherato da parole come “libertà” e “opportunità”».

In politica cosa sperare possa avvenire? O meglio: c’è speranza ancora?
«La speranza penso che si possa trovare ancora solo nell’umanità delle persone espressa al meglio dalle arti e dalla letteratura in particolare. Finché la politica sarà fine a se stessa e un mezzo di potere e non di servizio, sperare è come attendere la pioggia nel deserto».

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