L’Itaca di oggi ricorda Alberto Manzi.
Nato il 3 novembre di cento anni fa il suo nome ai più giovani dice poco, ma per i meno giovani, per la generazione dei miei genitori, invece, citare Alberto Manzi è come nominare l’abacedario della loro esistenza formativa. Per costoro, infatti, e per tutta la mole di giovani formatisi nel periodo della ricostruzione post bellica, è stato “il maestro” per eccellenza. Maestro televisivo per oltre un milione e mezzo di italiani che, tra il 1960 e il 1968, presero la licenza elementare attraverso la sua trasmissione “Non è mai troppo tardi”, andata in onda prima sull’allora unico canale nazionale e successivamente sul secondo programma della tv. Trasmissione poi riprodotta anche all’estero, in ben 72 Paesi.
Padre tramviere, madre impiegata annonaria vaticana, Alberto Manzi, dopo il diploma magistrale, conseguito presso l’Istituto “Giosuè Carducci” di Roma, per sfuggire alla chiamata alle armi della cosiddetta “Repubblica di Salò”, da antifascista, si nascose presso l’Ordine di Malta. Con l’arrivo degli americani si arruolò nel Battaglione San Marco.
A guerra finita tornò alla sua passione, la scuola. Prese servizio presso l’Istituto di rieducazione e pena “Aristide Gabelli” di Roma, dove realizzò il primo giornale, “La Tradotta”, rivolto agli Istituti di pena.
Nel 1947 insegnò, in qualità di supplente, presso la scuola di Campagnano di Roma.
Dal 1950 prese servizio alla scuola “Fratelli Bandiera” di Roma, dove restò fino alla pensione.
Negli anni Cinquanta pubblicò diversi testi scolastici e collaborò con Gianni Rodari e Jacovitti alla rivista “Il Vittorioso”.
Ciò che gli fece intuire la sua missione educativa futura fu un viaggio a Lima, in Perù, dove, insieme al cugino, insegnante anch’esso di italiano, partecipò a programmi di scolarizzazione.
Nel 1955, Alberto Manzi, scrisse “Orzowei”, da cui fu tratta negli anni Settanta una serie televisiva di grande successo per la TV dei ragazzi, di cui anche io andavo ghiotto.
Dal 1960 e per otto anni, prima di cena, il suo volto, insieme a Oreste Gasperini e Carlo Piantoni, divenne famoso a tutti gli italiani grazie allo schermo in bianco nero della televisione, con “Non è mai troppo tardi”. Si narra che il giorno del “provino” cestinò il copione che gli era stato dato e tenne una lezione alla sua maniera, dinanzi a classi composte da adulti analfabeti o quasi.
Negli anni successivi, da “semplice” insegnante, rimase celebre il suo atto di disobbedienza avvenuto nel 1981: si rifiutò di redigere le “schede di valutazione” che la nuova riforma della scuola aveva messo al posto dei voti numerici. Tenne a dire in quell’occasione: “Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché cambierebbe, è in movimento. Se il prossimo anno uno leggesse il giudizio che ho dato quest’anno, l’avremmo bollato per i prossimi anni”. La ribellione gli costò la sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio. L’anno seguente, pressato dal Ministero della Pubblica Istruzione, accettò di redigere le schede ma con una valutazione riepilogativa identica per tutti: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. Un giudizio che al Ministro non piacque ma che segnò una presa d’atto e si tramutò in azione pedagogica per molti maestri di scuola di quegli anni.
Dal 1995 al 1997 è stato sindaco di Pitigliano, in provincia di Grosseto.
Un antesignano educatore di parola. Questo è stato Alberto Manzi. Un insegnante prestato alla comunicazione e alla divulgazione e che ha saputo organizzare, con umiltà e metodo, veri e propri corsi serali collettivi per bambini, adulti e anziani analfabeti assetati di scuola, contribuendo alla crescita civile del Paese.
Alberto Manzi è crocevia fondamentale di un prima e di un dopo, socialmente importante della nostra storia. E ricordarlo, in questi nostri tempi di scivolamento linguistico, e culturale, dovrebbe valere anche come monito. Giacché non è mai davvero troppo tardi per conoscere, istruirsi e diventare cittadini del mondo. Per viaggiare, senza timore, verso ogni nuova nostra meta, dove alla fine c’è sempre un’Itaca da raccontare.

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