Il buon Natale del Nuovo è con due storie. La prima è tutta in una foto meravigliosa di Mimmo Giuliani fotografo di grande sensibilità,racconta “Il lato oscuro” di queste feste. La seconda è quella del titolo e parla di accoglienza profonda.  E’ il nostro dono ai lettori del Nuovomagazine. Buon Natale.

REMO MARCOVICH ARRIV0′ SUL FILO DELL’ALBA

Remo Marcovich arrivò sul filo dell’alba. Quello era il momento in cui la lampada del piccolo bar ogni giorno illuminava la piazza. Sempre prima che il sole ad est superasse il profilo del monte.  La luce improvvisa brillò su occhi di animale selvatico in difesa. Fermo nel buio, al centro delle via, organizzava il prossimo tratto della sua vita. Scrutava lo spicchio di terra guardingo e teso come ogni essere vivente di fronte ad un precipizio. Era arrivato da due giorni dopo aver attraversato il mare su una nave malandata. Pelle cotta dal sole e naso adunco, corpo asciutto e curvo come una canna, occhi serrati  impegnati a radiografare, più che vedere. Migrante con addosso ancora il puzzo del viandante stipato con altri mille nel ventre del bastimento, si guardava intorno per indovinare se fosse proprio quello il buco di mondo dove poter camminare con le mani in tasca. Il faro del chiosco accendeva la vita del borgo, era il segnale che aspettavano ogni giorno quelli che abitavano l’ultimo buio: cacciatori intabarrati, uomini inquieti reduci  da notti di vita e fumo, amanti sfiancati da storie clandestine.

LEOPARDI FACEVA MAGIE CON LA FAEMA

Il vecchio barista li rifocillava tutti. Amava quel lavoro, quell’ora e la luna. Si chiamava Antonio, ma lo chiamavano tutti Leopardi proprio perché declamava spesso O graziosa luna, io mi rammento..E tu pendevi allor su quella selva. Siccome or fai, che tutta la rischiari”.  Lui era l’uomo dell’interruttore. E mentre ognuno si avvicinava al bancone, i primi trattori percorrevano la curva della provinciale puntando i fari in direzione delle vigne di pianura; un reggimento di muratori e capomastri si affrettava verso l’autobus per costruire in città altissimi palazzi.  Per l’ultima corsa si stagliava intanto all’orizzonte uno stropicciato drappello di studenti. Alle sette era tutto finito. 

IL SOLE BRILLUCCICAVA ALTO SULLE DIECI COLLINE

Il sole bello alto brilluccicava sulla comunità che abitava le dieci colline. Il barista, dopo l’accensione, smanettava la macchina del caffè modellando espressi e cappuccini. “Questa polvere diverrà crema, la migliore”  tuonò. Poi vide Remo e, come se si rivolgesse ad un vecchio cliente, disse semplicemente : “Ecco qua caro mio. Prendi, questo è quello che stai sognando, un caffè lungo e bollente. Offre la ditta”. Il macedone strizzò gli occhi selvatici e sorrise. Riconobbe subito in Leopardi il fratello che aveva dimestichezza con la fatica del viaggio e il piacere della pace. L’uomo che aveva di fronte, un tempo era partito in treno verso i paesi del nord  per acchiappare la fortuna. Lì aveva iniziato a lavorare con gli uomini di tutto il mondo. La fortuna però non arrivò. Tornò allora nelle sue vecchie strade e aprì il chioschetto fuori le mura. “Da dove vieni?” chiese Leopardi a Remo. “Dalla Macedonia” rispose l’altro. “Vieni dal paese di Alessandro Magno, siete gente di conquista. Eppure ora scappate. Strano il mondo. E che lavoro facevi?” insistette il barista – “Il muratore –  rispose l’altro – e belle case di legno”. Le parole erano poche, solo quelle necessarie. “Dammi una mano – disse Leopardi – aiutami a mettere a posto i tavoli qui fuori al giardino. Facciamo sei file da tre e per ogni tavolo mettiamo quattro sedie”. Presero a lavorare in silenzio.

LE PRIME GOCCE DI FATICA SI MISCHIARONO ALLA NUOVA TERRA

Remo dopo un po’ iniziò a sudare. Per la prima volta le sue gocce di fatica si mischiarono alla nuova terra. Sorrise, la brezza leggera lo faceva sentire bene. L’uomo del caffè lo aveva ancorato alla comunità senza troppe parole. Finita l’opera i due si fermarono a riposare e accesero una sigaretta. Rimasero lì a fumare in silenzio. Soddisfatti. L’orizzonte annunciava una giornata nitida, le file dei tavoli erano in ordine perfetto, il pavimento pulito, senza carte né cicche. Gli ombrelloni  bianchi e rossi in bella fila e aperti raccontavano di un lavoro ben fatto. Il viaggio era finito. Remo tirò una bella boccata di fumo pensando che quella era la pace e quello il posto dove restare. Poi strinse forte la mano dell’uomo che cantava la luna e andò via. 

IL FUMO DENSO E BIANCO, ANCORA OGGI, PORTA SU ANCHE UN SORRISO

Quella sigaretta divenne un rito. Il fumo denso delle Nazionali accese dai due al cospetto del primo sole  salì nel cielo per molte stagioni. Poi Leopardi non toccò più l’interruttore. Remo Marcovich, in piedi, davanti alla porta del bar, seguì con lo sguardo l’ultimo viaggio del suo amico e fece un segno della testa al passaggio della bara. Senza lacrime, ma con una sigaretta accesa tra le dita. Era la  promessa che il loro rito non sarebbe cambiato, che se Leopardi fosse riuscito a tornare, lui lo avrebbe aspettato lì con le sigarette pronte. Ancora oggi tutte le mattine, con qualunque tempo e in qualunque stagione, puoi incontrare Remo al chiosco che ordina un caffè, più curvo di allora sotto il peso delle rughe. Poi con passo leggero esce dal bar e si siede. Accende la sua prima sigaretta e fissa la piazza. Aspetta che salga il sole e ne accende una seconda. Quella  per il suo amico. Nel fumo denso e bianco che va, ogni mattina sale anche un sorriso. E’ per quel fratello poeta che gli offrì la mano, un caffè e un altro mondo.

 

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