“Ma come sei capitato qui a Riano?” Basta una domanda, a volte, per dare il là ad un’Itaca in perenne viaggio. Tempo un’ora e un interrogativo, buttato lì, tra un caffè e un orzo, bevuto con Angelo Di Vitale, di professione carrozziere, sul luogo del suo lavoro, diventa il racconto di una vita. Una vita spesa dietro al lavoro e alla famiglia, fiore all’occhiello del suo orgoglio.

“Riano l’ho conosciuta grazie alla mia passione per il gioco delle carte. Tramite un rianese che, di tanto in tanto, mi invitava a casa sua, e che avendo saputo che cercavo uno spazio abbastanza capiente in cui installare una carrozzeria mi ha fatto conoscere un signore, signore nel vero senso della parola, proprietario del locale dove tutt’ora svolgo la mia attività. Mi è piaciuto subito, l’ho valutato in ogni particolare, come faccio sempre per tutte le cose che riguardano il lavoro, e alla fine l’ho preso”.

“Quante tribolazioni, però, ˗ mi confida Angelo ˗ perché tra il vecchio e il nuovo, come si suol dire, si sa sempre ciò che si lascia ma non si sa mai cosa si va a trovare. Pensa che una notte, alle tre, durante le trattative per l’acquisto, tra lo stupore di mia moglie, che all’improvviso mi ha visto togliere il pigiama e rivestire, da Labaro sono partito e sono venuto qui a Riano per controllare se la strada che scorre lungo la carrozzeria fosse illuminata a dovere oppure no… a pensarci ora mi viene da sorridere e quando ci ripenso rido di gusto davvero per questo come per altri aneddoti, che oggi fanno parte dei ricordi di una scelta di vita”.

Ho cominciato a fare il carrozziere ˗ ricorda Angelo ˗ in un buco di spazio a Labaro. Un buco proprio, Italo, mi devi credere. L’ho attrezzato e messo su con fatica, risparmi e prestiti bancari. Poi sono entrato in società con un amico e mi sono trasferito a Valle Muricana, a ridosso di Prima Porta, e poi da lì a Riano. Il mio amico poi ha preso altre strade con altri progetti. Io, invece, volevo continuare a perfezionarmi nel mio lavoro. Lavoro che per me è stato sempre fatica e sudore…”.

Angelo l’ho conosciuto nel 2011. All’epoca della lotta contro l’ipotesi di discarica dei rifiuti alternativa a Malagrotta, che a Riano ha segnato tutta la popolazione. È una delle persone di cui ho grande stima. Stima frutto di parole e di fatti vissuti gomito a gomito con lui, in tutti questi anni. Stima che nel tempo è diventata riguardo a rispetto reciproci. “Quella lotta ˗ mi confida Angelo – io l’ho vissuta al pari di un cosiddetto ‘rianese doc’. Era come se qualcuno a quel tempo volesse scipparmi la tranquillità del posto in cui avevo scelto di vivere. Non ho esitato un attimo a scendere in lotta. Mi sono gettato a capofitto in quella difesa dell’ambiente e della salute…”.

Ora, Angelo, che ha dato un futuro ai due figli (qui nella foto a corredo dell’articolo), e che dà lavoro a diversi operai, sta realizzando l’ennesimo sogno della sua vita: trasferire a breve l’attività in un’area che sappia accogliere e dare il senso del bello. Perché, per lui, il suo lavoro è essenzialmente questo: bellezza e cura di mobilità.

“Viviamo periodi brutti, Italo. Periodi che ˗ mi dice ˗ ti segnano nel profondo: prima la pandemia e ora la guerra. A sentire e vedere certe cose ci sto male. E io, per come sono fatto, non riesco a starmene con le mani in mano… di fronte ad un’ingiustizia o ad una miseria… io reagisco e cerco di capire cosa poter fare”.

E il fare di Angelo, su cui stendiamo un velo di privacy, perché per lui – che è uno di quelle persone che al dire preferisce, appunto, il fare – aiuto è gesto di completamento umano. Essenziale. Determinante.

Determinante come il viaggio della sua vita che lo ha portato in questo territorio al ritmo del lavoro. Essenziale come la semplicità che contraddistingue questo suo racconto di esistenza. Umano come lui. Perché, “in fondo”, mi ha detto, “un giorno, purtroppo, la campana suona per tutti e allora tanto vale vivere in pace con sé stessi e con gli altri, sempre”. Di Itaca in Itaca, insomma.

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