Benigno è un giovane uomo che una notte di novembre di dieci anni fa si è svegliato dentro le pagine del romanzo di Jose Saramago, “Cecità”. Cieco, completamente cieco, da un’ora all’altra come i protagonisti di quel libro angoscioso del premio nobel portoghese. Il nero unico colore del suo orizzonte.

Oggi lavora al Comune di Roma dopo aver superato una selezione. Cinquantesimo su cinquemila. A luglio si è laureato in scienze della formazione, 110 e lode. Il massimo, un voto che certifica il suo  livello di preparazione ma anche la sua rinascita e la sua capacità di resistenza agli eventi avversi. Oggi è in vacanza al mare con la moglie Tahnh, il grande amore per la quale aveva deciso di vivere in Vietnam e mentre il figlio Angelo gioca con la sabbia, lui ascolta i rumori del mare, quelli che produce la brezza leggera muovendo la tela degli ombrelloni, e progetta il futuro di fronte al sole. Questa è la sua storia, quella di una giovane sposa con un figlio di sette mesi e del loro inno alla resilienza.

LA NOTTE CHE BENIGNO ENTRO NELLE PAGINE DI SARAMAGO

La notte in cui il destino lo spinse con violenza dentro le pagine di Cecità era il 19 novembre del 2009. Benigno abitava nell’ex Saigon e sognava un ristorante. Il suo. Doveva aprirlo nella  vecchia capitale del Vietnam del sud che oggi si chiama Ho Chi Min in onore al presidente storico del Vietnam del Nord, terra dell’esercito di bandiere rosse che la conquistò al termine di una guerra lunga e sanguinosa. La sera ne aveva discusso a tavola con amici. L’affare era, di fatto, concluso. I giorni seguenti sarebbero stati quelli delle firme, dei passaggi di proprietà. Per siglare l’accordo Benigno propose di brindare con un limoncello di sua produzione. Poi tornò a casa, si mise a letto contento, accanto a Thanh e spense la luce. Non sapeva, non poteva sapere, né immaginare, che era per sempre. Alle tre di notte si alzò per andare al bagno ma il buio pesto lo aveva già avvolto. Imprecò perché qualcuno accendesse la lampada, poi, di Thanh di fronte a lui a chiedere impaurita cosa stesse accadendo vide solo un ombra… Il buio era arrivato.

IL VERDETTO , LA DISPERAZIONE, LE MACCHINETTE COLORATE

La disperazione allagò il cuore di Benigno ed al pronto soccorso della città vietnamita tracimò tra urla e pianti. Il primario dell’ospedale, dopo la risonanza magnetica,  lo informò che non c’era possibilità di guarigione. Il nervo ottico era  bruciato in modo irreversibile. La diagnosi fu confermata da un medico arrivato dall’ambasciata Italiana di Hanoi. Game over. Gioco finito. Benigno pensò al suicidio. A un destino infame che lo braccava: prima la morte della mamma adorata quando era alle medie, poi quella del papà con il quale allevava cavalli. E invece il figlio di sette mesi , appena lui fu dimesso dall’ospedale, lo prese per mano e lo portò a giocare con le macchinette. Voleva il padre non un suicida. E Benigno ubbidì, si sdraiò a terra con il suo buio ed iniziò a far girare quelle meravigliose automobiline su piste immaginarie come ha fatto e fa ogni padre.  Così steso a terra, sotto lo sguardo di Thanh, spinto dai motori delle macchinette e dalle mani del figlio, iniziò a risalire dal buco della resa. Ci furono viaggi della speranza a Singapore, Bangkok , il ricorso alla medicina cinese, efficace e risolutiva per certi aspetti. Poi venne il tempo del ritorno in Italia.

IL RITORNO, LA RINASCITA, L’UNIVERSITA’

Ma non cambiò la diagnosi, cambiò la prospettiva. Il luminare italiano, infatti, dopo averlo visitato, svelò cosa era accaduto: probabilmente nel limoncello fatto in casa c’era del metanolo che abbinato ad una mononucleosi da cui Benigno era affetto senza saperlo produsse l’infiammazione virulenta che bruciò i tratti finali dei nervi ottici, quelli più sottili. Un caso rarissimo. Non c’era nulla che si potesse fare per gli occhi, se non ricominciare a vivere e per questo Benigno dopo aver concesso spazio al tedio e alla commiserazione di sé , decise di muoversi.

Ci volle un anno di attesa ma poi approdò al S. Alessio, l’istituto per ciechi della regione Lazio. Una eccellenza  del sistema regionale. La base del suo nuovo inizio. Gli insegnanti dell’Istituto gli diedero le chiavi per riacquistare la libertà di camminare solo,  prendere i mezzi, girare per le città. Imparò il braille, prese gusto a leggere, studiare, capire, approfondire, ad usare il computer. Fu un anno duro, dormiva a Roma e rincasava a Capena nel week-end, ma tornò ad essere quell’ottimo studente delle scuole medie di cui la mamma era orgogliosa e che dopo la sua morte si era smarrito. Ora quel Benigno lì era tornato e aveva deciso di andare oltre  per dare una mano a quelli che aveva incontrato al S. Alessio e stavano peggio di lui, si sarebbe laureato. Scrive Benigno nella laurea magistrale che lo incorona “Coordinatore dei servizi educativi e dei servizi sociali: “Avevo quarantacinque anni, da cinque ero cieco e da 25 non studiavo più. E però non potevo fermarmi”.

 LA FORZA DI THANH E GLI AMICI SPLENDIDI

Nella tesi di laurea “Resilienza, l’amore ultima zattera”, il suo percorso per individuare il metodo giusto per riprendere a studiare con profitto è raccontato con estrema precisione. Una costruzione certosina da artigiano, un sistema di apprendimento replicabile. E’ seguendo questa  traccia che Benigno al primo esame, uno dei più difficili, prese 29, i successivi 30 e lode. Ha chiuso la triennale due anni fa e lo scorso luglio ha concluso la magistrale: 110 e lode sempre. “Sì, ce l’ho fatta, ma il segreto del metodo è nella forza di Thanh, negli  amici e in tutti quelli che mi sono stato vicini. Io sono uscito dalle sabbie mobili della  disperazione grazie a  loro che mi hanno preso e trasportato e spinto  e sostenuto e incoraggiato. Oggi sono così perché sono un uomo fortunato, ho avuto sempre vicino Thahh e  amici stupendi”.

ANGELO E PLINIO, CARLO, MARA, SIMONA VALENTINA. E URSUS

“Due in particolare: Angelo e Plinio, persone meravigliose che sanno cosa è la resilienza, la forza indomita di andare avanti comunque, di aprire il cielo con un sorriso nonostante le malattie rare invalidanti e degenerative che si portano dietro da anni. E poi Carlo, Carlo Tata, la colonna di sostegno, Valentina Bernabucci collega e grande amica  mi è stata vicina e abbiamo fatto insieme tutti  gli esami. Mara Alei, Simona Perilli e le ragazze dell’università. E la moglie di Piergiorgio Welby che ha  introdotto  la discussione della mia tesi leggendo le parole che suo marito rivolse al Presidente della Repubblica per spiegare il suo concetto di libertà legato alla vita. Poi oggi c’è anche lui Ursus, un labrador magnifico e possente. Sta con me sempre anche in ufficio. Siamo una bella coppia”. Benigno ride mentre Ursus alza la testa per capire se è tempo di andare.

VORREI SOLO UN QUARTO D’ORA PER VEDERE IL VISO DI MIO FIGLIO

 Il mio obiettivo ora è prendere una terza laurea e l’abilitazione ad insegnare. Si può avere un’altra vita oltre la cecità. Oggi  tornerei  a ieri, solo per un quarto d’ora, il tempo di vedere come è cambiato in questi dieci anni il viso di mio figlio, guardarlo negli occhi, vedere i colore di quelle macchinette e di nuovo il volto di quella ragazza fortissima e dolce che mi fece innamorare, la mia Thanh“.  Il cuore grande di Benigno.

 

 

 

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