Quando siamo andati al Cara di Castelnuovo, poche settimane fa, i pullman continuavano a partire. Oggi lo sgombero, effetto del Decreto Sicurezza varato dal Governo, è concluso. La prima settimana sono state smistate circa trecento persone, la seconda appena cinquanta, fino ad arrivare ai famosi 550, di cui 150 sotto protezione umanitaria, che facevano di questo centro il secondo in Italia per grandezza e numero di rifugiati. I richiedenti asilo salgono sugli autobus portando le poche cose che hanno, senza sapere dove sono diretti. “Non lo so nemmeno io, la comunicazione arriva all’ora di pranzo” ci dice uno degli autisti fuori dal centro. La maggior parte andranno in Basilicata e Campania, altri al nord, soprattutto Piemonte.
“La verità è che in molti non arriveranno neanche in questi centri, scapperanno prima, per paura, e finiranno magari a Stazione Termini o a Tiburtina” spiega un volontario della Chiesa Evangelica di Castelnuovo. Aiutato da qualche migrante e da un paio di amici sta portando via il materiale che avevano prestato ai ragazzi del centro. C’è una batteria, qualche sedia di plastica, un amplificatore. “Salvini non ha tutti i torti, per carità, ma bisogna programmare per tempo, non agire per propaganda”.
Le motivazioni dello sgombero le aveva spiegate, in diretta social, proprio il Ministro dell’Interno: “Chiudiamo un centro sovraffollato, con costi esagerati, risparmiamo 5 milioni di affitto ed oneri di gestione. Ho agito come un buon padre di famiglia”. Il Cara di Castelnuovo era in mano alla cooperativa Auxilium dal 2014, anno in cui vinse l’appalto con un ribasso record: ogni migrante costava 21,9 euro al giorno. Un centro all’avanguardia, stando alle parole del Sindaco Riccardo Travaglini e del direttore Akram Zubayadi, che dava lavoro a tanta gente del posto (in 107 tra tecnici, psicologi, operatori dal 1 febbraio sono disoccupati) e iniziava a creare progetti di integrazione: corsi di italiano e professionali, lavori socialmente utili in collaborazione con il Comune.
Aldilà dei numeri e delle cifre, infatti, ci sono le vite di chi parte, di nuovo, verso chissà dove. Sul nostro blog vi abbiamo raccontato la storia di Ansou Cissè, ad esempio, che ha fatto il giro d’Italia: vent’anni, del Senegal, gioca nella Castelnuovese, ed è il bomber della squadra. Dei 15 gol segnati nel campionato di Prima Categoria, più della metà portano la sua firma. “Se ce portano via lui è come se alla Juventus portano via Cristiano Ronaldo”. Per Ansou si è scatenata la gara di solidarietà: chi voleva offrirgli un letto, chi un lavoro per farlo restare e farlo continuare a segnare. “È un punto di riferimento per tutta la nostra squadra, anche per i più piccoli” spiega Mauro Sabbatini, presidente della squadra. Siamo in contatto con Ansou dai primi giorni dello sgombero: “Quello che sta succedendo è terribile in diversi sensi – ci diceva – i pullman partano almeno due o tre ogni mattina, le direzioni si sanno il giorno della partenza. Anche io andrò via ma non so dove”.
Tre settimane dopo tutto è cambiato. Ansou, che qui chiamano “Paul” per la somiglianza a Paul Pogba, centrocampista francese campione del Mondo, ex Juventus, in forza al Manchester United, ora è al centro Mondo Migliore di Rocca di Papa. Giusto il tempo di giocare l’ultima partita con la sua Castelnuovese, il 3 a 1 contro il Tor Di Quinto dove, guarda caso, ha segnato 2 gol. Giusto il tempo di illudersi: diversi compagni si sono offerti di ospitarlo, sembrava tutto fatto, invece il ricorso presentato per l’accoglimento della richiesta di asilo non è stato accettato. “Qui a Rocca di Papa non conosco nessuno e di giocare a pallone non se ne parla – ci scrive Ansou – però sto sentendo tantissima vicinanza e solidarietà. Vorrei ringraziare tutte le persone che mi stanno vicino, a cominciare da Enrico Mentana, che mi ha donato una borsa di studio, e Beatrice Bossi di Tg2000”. Con la borsa, il Bomber riuscirà a proseguire gli studi e a rincorrere il suo sogno di diventare calciatore professionista.
Ma la sua è solo una delle tante storie che si intrecciano e si confondono in questi casermoni anonimi e bianchi. Quando eravamo al Cara, verso l’ora di pranzo, nel viale che porta al centro, ricominciava la processione di rientro per chi era fuori. Fermiamo Olaynka, cuffie nelle orecchie e sguardo interrogativo. Non parla italiano, solo francese e inglese, ha 25 anni, in Nigeria ha studiato fashion design. “Ho provato a dire ai responsabili portatemi a Roma, continuate a farmi studiare, a farmi lavorare, ma è stato inutile. Si stava sempre qui.” Con la capitale comunque distante 20km e la prima stazione ferroviaria ad almeno 5. “Qui è tutto difficile, le giornate sembravano non passare mai, si spengono anche i sogni”.