L’erba è rigogliosa.
Silenzio e quiete. Una manciata di persone si avvicenda intorno alle sepolture.
Siamo in un piccolo cimitero. Il cimitero vecchio, così lo chiamano a Capena.
Alei, Ercolani, Sestili, Guidotti: I cognomi sulle lapidi brillano alla luce di un autunno che ancora scalda d’estate.
Pochi passi lungo i sentieri e compare, nella sua singolare bellezza, la chiesa di San Leone Magno, che sta lì dal IX secolo e si nasconde tra le tombe più antiche del borgo.
Eppure fu tra i primi edifici ad essere nominato patrimonio nazionale, grazie agli arredi architettonici che lo rendono unico nel suo genere in tutto il centro Italia.
Prima che sorgesse questo luogo di culto cristiano, è probabile che al suo posto ci fosse un tempio pagano, di cui sopravvivono ancora oggi alcune decorazioni.
Ornamenti che, per stile e caratteristiche, conducono col pensiero verso la cima del monte Soratte presso l’eremo di San Silvestro, all’interno del quale sono visibili fregi simili a quelli capenati.
Carlomanno si ritirò a vita monastica proprio sulla montagna sacra di Sant’Oreste e forse le maestranze dell’epoca lavorarono sia nel monastero che a San Leone, creando un lungo tratto stilistico che attraversa la valle tiberina e sopravvive ancora oggi.
“QUESTE PETURE A FACTE FARE A SUFFIA”
La chiesa di San Leone fu inoltre luogo di sepoltura dei defunti preadolescenziali.
Bambini, insomma, che trovavano riposo lontano dagli occhi sofferenti di chi li aveva perduti. Perché se la struttura oggi è inglobata nel perimetro del paese, un tempo era una piccola realtà di campagna lontana dal cuore del borgo. Per questo motivo si pensa che non fu mai una chiesa parrocchiale, ma che venisse usata, al massimo, come tappa nei riti processionali.
Al suo interno è facile lasciarsi cogliere dallo stupore davanti a un rarissimo recinto presbiteriale (iconostasi) finemente decorato con motivo intrecciato. La stessa struttura dell’edificio suscita sorpresa, essendo divisa in due sole navate anziché tre.
Di raro pregio sono anche gli affreschi, alcuni dei quali risalenti all’anno 1000: San Paolo e Santa Scolastica, San Pietro e San leone Magno, la Madonna col Bambino.
Alcuni di questi beneficiarono di un restauro nell’epoca rinascimentale, su probabile commissione di una certa “Suffia” il cui nome è apposto nella volta dell’abside. Secondo la particolareggiata ricostruzione di Stefano Speranza, appassionato conoscitore della storia del luogo, Suffia starebbe per Sofia, figlia di un facoltoso uomo che visse a Leprignano intorno alla prima metà del 1400.
“TRA LUI E ROMA NON UNA FORTEZZA SI ALZAVA. NESSUN ESERCITO GLI INCUTEVA PAURA”.
Sempre grazie a Speranza, possiamo farci suggestionare dall’ipotesi secondo la quale la chiesa fu dedicata a San Leone Magno a seguito di un episodio storico di rilevante importanza.
Leone I fece parte dell’ambasciata inviata a incontrare Attila, re degli Unni, che nel 452 era diretto a spron battuto verso Roma. Temendo un’invasione della capitale, Leone I riuscì a dissuadere il condottiero e a farlo ripiegare. Nessuno seppe mai quali parole si scambiarono, ma tale impresa restò alla storia e ne troviamo traccia nel nome della piccola chiesa.
La presenza del cimitero intorno a San Leone è spesso considerata un deterrente per la visita di appassionati e curiosi, limitando forse le attenzioni che la struttura avrebbe meritato.
Lo stesso cimitero, però, ne esalta l’aspetto ancestrale e scrive l’ultimo tratto di una storia che dalla sua costruzione conduce fino ad oggi.
Protegge la chiesa dal vociare delle palazzine e dal traffico della via principale. La abbraccia nel silenzio e nella quiete.
I ricordi dei Capenati sono racchiusi in un piccolo mondo prezioso e si fondono con San Leone, che merita di essere visitata ed esaltata in tutta la sua suggestiva bellezza.