In ospedale si possono prendere infezioni gravi anche mortali. Il fenomeno, anche a causa della antibioticoresistenza ormai è da allarme rosso al punto che nel 2016 ha fatto registrare 50 mila decessi. “Siamo di fronte ad un’emergenza gravissima – commenta Pier Luigi Bartoletti vice presidente dell’Ordine dei medici di Roma e provincia – l’impennata delle infezioni ospedaliere, come registrato dal rapporto Osservasalute, è un campanello d’allarme grave che non va archiviato come effetto collaterale fisiologico connesso al ricovero. Perché non è cosi”.
NEL 2016 I DECESSI SONO STATI 49.301. NUMERI DA STRAGE , COLPITI ANZIANI OVER 75
Per Bartoletti “passare in pochi anni dai 18.668 morti del 2003 ai 49.301 del 2016 segnala che il problema è ormai tali da non poter essere ignorato o sottovalutato come spesso accade. I medici di ospedali grandi e piccoli conoscono la vastità del fenomeno ma sono quasi sempre lasciati soli ad affrontarlo fidando nei miracoli, ormai sempre più ridotti, degli antibiotici e delle misure di profilassi. Armi efficaci, anzi salvavita, ma che stanno perdendo sempre più terreno poiché la causa principale di questa piaga che colpisce soprattutto gli anziani over 75, è con tutta evidenza marcatamente, se non esclusivamente, organizzativa, logistica e strutturale”.
EVITARE SOSTE LUNGHE NEI LOCALI DEL PRONTO SOCCORSO
Per il vicepresidente Omceo Roma, “l’urgenza sta nella necessità di costruire un muro di misure adeguate e utili a ridurre le proporzioni del fenomeno. Le soluzioni da intraprendere richiedono certo una ancora più puntuale efficienza clinica, ovvero la corretta prescrizione ed assunzione di antibiotici, l’adozione di più rigidi protocolli di misure di sicurezza come il lavaggio delle mani, ma soprattutto quel che serve è una diversa e più efficace organizzazione, ovvero l’adozione da parte delle Aziende Sanitarie di procedure, in coerenza con il Dlgs 231/2001.
Finché, per esempio, i pazienti ed in particolare quelli anziani sosteranno troppo a lungo nei grandi ambienti dei pronto soccorso, sarà oggettivamente difficile contenere la diffusione di queste infezioni, e lo sarà ancor di più se i reparti destinati ad ospitare i pazienti nel momento di maggiore fragilità, come rianimazione o terapie intensive, sono ospitati in locali non adeguati e ben protetti come spesso accade magari in fase di lavori di ristrutturazione edilizia”.
“Di fronte a questi dati occorre constatare, con amarezza, che gli strumenti normativi esistenti – procedure di risk management ed i protocolli clinici implementati – evidentemente non bastano. La parte medica fa il suo, ma se a ciò non corrisponde una revisione profonda dell’assetto organizzativo, c’è poco da sperare in un miglioramento. Ma l’allarme ormai è rosso e non c’è più tempo da perdere”, conclude Bartoletti.