In Italia le cure ospedaliere rivolte ai pazienti con un decorso letale di COVID-19 sono state garantite senza disparità fra coloro che erano e non erano affetti da un disturbo mentale, anche nei primi mesi dell’emergenza pandemica: i tempi di accesso ai test per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 sono risultati sovrapponibili e non sono emerse differenze nell’accesso alla terapia intensiva correlate alla diagnosi di patologia psichiatrica. Ciononostante, i pazienti affetti da un disturbo psichiatrico grave muoiono con il COVID-19 a un’età più giovane rispetto ai pazienti senza una diagnosi di disturbo mentale, al netto degli altri fattori esaminati, incluse le comorbilità non psichiatriche. Sono questi i risultati principali emersi da uno studio (Doi: 10.1016/j.eclinm.2021.100854) condotto dal gruppo di lavoro “Cause di mortalità COVID-19” coordinato dal Dott. Graziano Onder, appena pubblicato su EclinicalMedicine. La riflessione sui dati raccolti ha coinvolto numerosi ricercatori dell’ISS che si occupano di salute mentale in diversi gruppi di lavoro e specialisti psichiatri anche del SSN.
“La consapevolezza del diverso impatto della pandemia sulle popolazioni più vulnerabili, fra le quali rientrano le persone affette da un disturbo mentale grave e da un disturbo del neurosviluppo, si è andata diffondendo progressivamente” – specificano Ilaria Lega e Lorenza Nisticò, ricercatrici presso l’ISS e promotrici dello studio. Fin dai primi mesi della fase pandemica è apparso evidente che la scarsa aderenza alle misure di protezione individuale legata a una ridotta consapevolezza del rischio, le frequenti comorbilità cardiovascolari e metaboliche associate, la difficoltà nel riconoscere e riferire i sintomi fisici a causa delle alterazioni cognitive o della mancanza di motivazione, potessero esporre le persone affette dai disturbi mentali più gravi a un maggior rischio di infezione da SARS-CoV 2 e a un decorso più grave di COVID-19.
Studi recenti hanno concluso che l’essere affetti da un disturbo mentale costituisca un fattore di rischio indipendente per infezione da SARS-CoV-2 e possa associarsi ad un aumento della mortalità da COVID-19. Sulla base di queste evidenze alcuni paesi europei hanno incluso i pazienti con disturbi mentali gravi fra le categorie prioritarie per la vaccinazione anti SARS-CoV-2.
In diversi Paesi sono state registrate nei primi mesi della pandemia concentrazioni di decessi nei grandi ospedali psichiatrici; nel Regno Unito è emersa un’allarmante disparità di accesso ai test di conferma dell’infezione e alle misure di protezione individuale a svantaggio dei pazienti con disturbi mentali rispetto ai pazienti affetti da altre patologie.
Per valutare la situazione in Italia, dove gli ospedali psichiatrici sono chiusi da oltre 40 anni, sono state prese in esame le cartelle cliniche di 4020 pazienti deceduti con COVID-19 in 365 ospedali italiani dal 21 Febbraio al 3 Agosto 2020, il 2,1% dei quali era affetto da un disturbo psichiatrico grave (schizofrenia o altro disturbo psicotico, disturbo bipolare), il 4,4% da un disturbo mentale comune (disturbo depressivo senza sintomi psicotici, disturbo d’ansia).
L’età media al decesso dei pazienti con un disturbo psichiatrico grave è risultata pari a 71,8 anni, rispetto ai 78,0 dei pazienti senza una diagnosi pregressa di disturbo mentale e ai 79,5 degli affetti da disturbo mentale comune.
Tutta la popolazione dei deceduti con COVID-19 mostra un carico elevato di comorbilità associate: i pazienti con 3 o più patologie somatiche sono il 61,2% fra coloro senza una diagnosi pregressa di disturbo psichiatrico, il 73,8% fra gli affetti da un disturbo psichiatrico grave, il 79,5% nel gruppo dei deceduti con un disturbo mentale comune. Ipertensione e diabete tipo 2 sono le patologie più frequenti nel gruppo senza una storia di disturbo mentale (rispettivamente 66,4% e 30,1%) e con un disturbo mentale comune (rispettivamente 64,9% e 27,0%), mentre fra i pazienti con un disturbo psichiatrico grave al secondo posto dopo l’ipertensione troviamo la demenza (rispettivamente 42,9% e 28,6%). Fra i deceduti con COVID-19 e disturbi mentali comuni, le donne sono più rappresentate. Sia i pazienti con disturbi psichiatrici gravi che quelli con disturbi mentali comuni, più spesso dei deceduti senza un disturbo psichiatrico, provengono da un contesto di lungo degenza esterno al servizio di salute mentale, privo di funzioni riabilitative.
Fra le azioni in grado di tutelare la salute dei pazienti affetti da un disturbo mentale nel contesto pandemico, lo studio suggerisce l’opportunità di includere i pazienti con disturbi psichiatrici gravi tra coloro con priorità per la vaccinazione. Allo stesso tempo, come previsto dal DL 34 del 19 maggio 2020, relativo a misure urgenti in materia di salute e di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è necessario rafforzare i percorsi di presa in carico territoriale per le persone più fragili, prevedendo modalità di intervento che riducano le scelte di istituzionalizzazione e favoriscano l’inclusione nella comunità ispirandosi ai principi del recupero psicosociale in salute mentale, anche tramite strumenti innovativi come il budget di salute.