“Gli antigenici sono uno spreco di soldi: facciamo almeno 200mila antigenici al giorno, al costo di 15-20 euro a test, sono almeno 3 milioni di euro buttati”. A dirlo è il microbiologo Andrea Crisanti, dell’Università di Padova, che interpellato dalla Dire spiega perché questi test non si stanno rivelando utili, ma anzi danneggiano il tracciamento dell’epidemia, visto che, secondo lo studioso, il numero dei decessi che abbiamo corrisponde ad una popolazione di infetti almeno 4 volte quanto riscontrato ogni giorno.
“I tamponi rapidi soffrono di due problematiche- spiega Crisanti- hanno una bassa sensibilità per cui tre positivi su dieci non sono intercettati, inoltre questi test non riconoscono alcune varianti. Basta guardare il tasso di positività degli antigenici per capire che: o si stanno facendo alle persone sbagliate, non intercettando il virus, o essi non riescono ad individuare tutti i positivi. C’è poi l’aspetto dei decessi, che sono ancora un numero molto elevato. Questo dato ci indica che il numero di persone contagiate è molto più alto rispetto ai numeri riscontrati ogni giorno, parliamo di 35-40mila nuovi casi al giorno”.
Crisanti però vede una via d’uscita sull’uso degli antigenici: serve fare una moratoria, validarli tutti, verificare che siano adatti alle varianti ed utilizzarli con criteri differenti a seconda del contesto, perché i test rapidi non sono strumenti da bandire, anzi ci aiutano, solo che dobbiamo essere consapevoli di come e in quale contesto li impieghiamo: se è per tracciare rischiano di non essere efficienti, se è per fare uno screening periodico accompagnato anche da altri tipi di test allora sono una buona soluzione. Certo, per le varianti gli antigenici non bastano. Doveva esserci il consorzio nazionale per il sequenziamento delle varianti ma non è mai partito”.