“Fare come un equilibrista / che sul mondo / sfida il crollo delle sue capacità”. Così cantavano Le Vibrazioni, ormai quindici anni addietro, in Dedicato a te. Così si muove Federico Lorenzi nella scrittura del suo primo libro di poesie, Decennio, online su Amazon, Feltrinelli e Mondadori.
“Siamo tutti equilibristi“, recita il primo verso dell’omonima poesia, “perché l’equilibrio lo crea ogni passo“. Classe 1994, di Faleria, operaio in fabbrica a Civita Castellana, ha collaborato per due anni alla rivista “Voce Romana”, ha conquistato il primo posto al Premio Interregionale di Poesia Roberto Costanzelli e una finale nell’Internazionale Giuseppe Gioacchino Belli. “La passione per la poesia parte da lontano – racconta – precisamente da quando avevo quattordici anni. Era il 1 giugno, mi trovavo all’Aeroporto Militare di Vigna di Valle. Ci fu un incidente e due piloti persero la vita. Per sfogarmi, tornato a casa, presi un foglio bianco e cominciai a scrivere. Non mi sono più fermato”.
Da qui parte il viaggio che Lorenzi fa nella poesia, muovendosi come un equilibrista, dicevamo, perché questa è la natura dell’uomo: diviso tra doveri e passioni, in bilico tra felicità e tristezza, tra coraggio e paura. In equilibrio tra presente e futuro. E quest’ultimo è uno dei grandi protagonisti di Decennio, dove prende la forma di un filo sospeso su una pianura smisurata, come recita La vita che continua. Davanti a noi, dietro l’orizzonte, c’è “l’incertezza di chissà cosa“, una “marcia verso la felicità“.
Ed è qui che si innesta uno dei cardini del dibattito, letterario e non, del nostro tempo: la comunicabilità, il desiderio di dialogare. Le parole di Lorenzi, in questo senso, sono leggere. Le sue poesie e i suoi aforismi sono semplici, genuini, lievi. Senza ghirigori artistici, senza virtuosismi, senza eccessi di retorica. Prendendo spunto da quanto detto da Marco Dané, nell’evento di Faleria dedicato alla poesia “Parole ed Emozioni”, i poeti si dividono in quelli che si fanno capire, che sono chiari, limpidi e quelli che rimangono chiusi, astratti, misteriosi.
Lorenzi non ha bisogno di questo, gli bastano poche parole per alleggerire la realtà e fargli prendere forma sul foglio bianco. Versi leggeri come il vento che si dondola sul mare, o semplici come la felicità che per Lorenzi è “tutto ciò che guardi e sembra non abbia età“.
E di età, di tempo, si parla davvero ovunque in Decennio, dove i venticinque anni dell’autore prendono forma nel desiderio di velocità, nell’elogio della follia, nel carpe diem che pervade tutte le poesie, nell’imperativo “noi ragazzi dobbiamo volare / eccedere nel guardare giù senza paura / far cenno con la mano e salutare / tutto quello che laggiù vive in misura”. Un poeta giovane che parla ai giovani, ma non solo, perché il tu delle poesie di Lorenzi abbraccia grandi e piccoli, adulti e bambini. Per ricordare e celebrare la bellezza di un sorriso, la carica del coraggio, la forza dei sogni.
Non solo però. Anche poesie politiche, i problemi del presente, la luna di D’Annunzio, i rimandi a Saba, il “vorrei essere vento” che ricorda Cecco Angiolieri, il porto di Ungaretti. “Salpare nei sogni dai nostri porti”, così scrive Lorenzi nell’ultimo verso della prima lirica di Decennio. Levare l’ancora, aprire le vele, sfidare l’ignoto. In poesia come nella vita.