Il dono dell’amicizia. Bisogna esserci, provare fortemente ad esserci, pregare per esserci, quando viene quel momento lì, che non è solo quello della morte, ma quando è proprio a te che si chiede aiuto per evitare il baratro. È la tua parte, lì si misura il tuo valore, la tua energia. Avere la forza sufficiente per fare l’ultima boa, per dare sostegno al momento che manca l’aria, che si piegano le ginocchia, che i piedi faticano a trovare l’energia per fare due passi pure tra le piante dell’orto. Quando si azzera anche la voglia di articolare il suono della parola più semplice. Vale per il padre e la madre, vale per i fratelli, vale per gli amici. Esserci fino alla fine. Questo si erano giurati Ettore e il suo amico Gigante.
Il giuramento sui punteggi e nelle gallerie
Avevano tutti e due gli occhi chiari e la voglia di un mondo migliore. Ettore fisico asciutto e nervoso, custodiva nel petto la pietra incandescente della lotta per l’eguaglianza, la giustizia dei proletari. Il Gigante, dolce e protettivo, era invece mite e taciturno, ma quel fuoco percepiva. Energia e solidarietà. Così andavano insieme dalle alture in città, a costruire palazzi altissimi nella Roma degli anni ‘60 e ‘70. Soldati semplici di quell’esercito di manovali-contadini che costituì l’immensa forza lavoro utilizzata per tirar su i nuovi quartieri della Capitale. L’ultimo cantiere in cui lavorarono insieme però fu nelle viscere della terra, quello per l’Alta Velocità. L’impresa li assunse per scavare le colline di casa. Erano edili avvezzi alle alture dei ponteggi e al buio delle gallerie. Ma restavano contadini esperti in vigne di pianura.
La vigna delle meraviglie
Ettore ne aveva una nella valle del Tevere ed era il suo orgoglio. Filari che correvano ordinati, senza un filo d’erba fuori posto, le viti curate. L’aveva dotata di un pluviometro per misurare la pioggia. Serviva a misurare l’acqua , ascoltare la terra, l’equilibrio degli elementi fondamentali, necessario ad assicurare un buon raccolto. Il Gigante aveva un orto che era meraviglia che donava raccolti generosi.
Il tempo calmo
Poi venne il tempo calmo. La corsa finì. Ognuno aveva costruito la casa, fatto studiare i figli e sistemato le proprie terre. Aquisito un perimetro di libertà. Messo al sicuro gli affetti. Tutto quanto avevano previsto per loro due, chiacchierando sui ponteggi all’ora di pranzo, era al suo posto. E il Gigante buono si incantò e non vide piu ragione per proseguire. Ettore invece si appassionava ancora al girotondo del mondo l’evolversi del mondo, il Gigante no. Non era interessato, anzi iniziò a chiudere il cerchio della sua vita. Il diametro del suo orizzonte sempre più corto. Fuori da quella bolla andava solo quando Ettore chiamava ed insisteva, ma poi neanche questo traino fu sufficiente. Non uscì mai più.
Poi il Gigante non uscì piu nemmeno per curare l’orto
Diceva che il mondo andava avanti benissimo anche senza di lui. E anche la vigna e anche l’orto. Non c’era più bisogno che andasse in giro per il paese. Non aveva nulla di cui parlare. Fu quello il momento in cui Ettore decise di esserci, di fare la sua parte. Stare insieme al suo amico anche nella deriva. Per anni ogni mattina usciva da casa e camminava per andare dal Gigante che abitava dall’altra parte del paese. Stavano insieme come sui ponteggi e nelle gallerie. Ettore donava il racconto del mondo, il Gigante ascoltava soltanto. Faticò per molti mesi nello sforzo di tenere quel corpaccione con la bocca fuori dal pelo morto e che ogni giorno di più provava a togliergli il respiro. Vinse l’acqua nera del mare di notte e senza luna, ma rimase accesa la luce della boa. Il patto era stato onorato, la parola rispettata.
La foto di apertura è di Fabrizio Sanapo. Nevicava quel giorno