LA LETTERA DEL SINDACO OTTORINO FERILLI AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Egregio Presidente,
la situazione impone coraggio, coerenza e determinazione. Le parlo con molta franchezza e in queste poche righe mi cimenterò con l’arte di poter comunicare sospendendo ogni forma, inutile, di giudizio.
Lei sa meglio di me che slittare scadenze non è un aiuto. Chi è insolvente oggi lo è perché non guadagna più: la serranda è chiusa; chiuso il cantiere; chiusa la filiera che produce. La franchezza deve essere strumento consapevole per prendere decisioni. In queste ore ho pensato a soluzioni da adottare, non a ulteriori problemi da rilevare.
Sono un Sindaco. Dopo la conferenza che Lei ha tenuto insieme al Ministro Gualtieri in merito al Fondo, ho scritto un messaggio ai miei cittadini attraverso il mio profilo su facebook: la mia Comunità invece di chiedere si è sollevata in un accorato moto solidale verso l’altro, verso chi è in stato di bisogno.
Normale direbbe chiunque. Normale perché “l’emergenza richiede sacrifici”.
Ma a chi si chiede il sacrificio? Chi deve ancora sacrificarsi e per cosa?
Questo è un Paese che ha maltrattato intere categorie sociali; un Paese che ha sottovalutato per anni il divario tra pubblica amministrazione e privato. Un Paese che ha fatto sentire irrimediabile la distanza tra chi siede in Parlamento e chi si alza alle quattro del mattino perché imprenditore o artigiano.
È inutile ammirare la sacralità di Papa Francesco nel silenzio di una piazza vuota; un volo emotivo cui possiamo rinunciare. È utile agire. Perché delle emozioni si è fatto fin troppo abuso.
Il Papa è stato chiaro: siamo sulla stessa barca.
Il sacrificio, adesso, si deve chiedere alla Politica; a quella che dileggia e offende i simboli cristiani per un po’ di consenso ma anche a quella che ha saputo riconoscere che siamo esseri umani prima ancora che italiani. Alla politica tutta, senza distinzioni.
Io non me la sento di chiedere sacrifici alla mia Comunità, né di dare elemosina.
Non abbiamo questuanti in stato di bisogno ma persone pronte a mettere beni di prima necessità nelle piazze, per strada, in giro e in ogni luogo perché il bisognoso ne usufruisca mantenendo dignità.
I nostri cittadini non hanno bisogno di un buon padre per sentirsi al sicuro; hanno bisogno di fiducia, di rispetto. Essi hanno, adesso, necessità di vedere una Politica credibile, autorevole, proba.
Le ho sentito dire che bisogna procedere con ritmi serrati a “burocrazia zero”.
Presidente, ad Aprile, trattenga le indennità di tutti i politici!
Lo faccia mettendo anche noi sindaci, assessori, consiglieri, presidenti di regione, senatori, deputati e amministratori delegati di aziende pubbliche. Lo faccia d’imperio. Lo faccia perché se è vero che siamo un grande Paese, il peso di questa reputazione non sia lasciato sulle spalle di chi negli anni ha reso grande questo stesso Paese: i lavoratori. Lo faccia perché alla Politica, quella vera, è arrivata un’occasione da cogliere senza tentennamenti.
Lei sa benissimo che anticipare la liquidità del Fondo di Solidarietà ai Comuni è un atto quasi dovuto, non una regalia e che l’integrazione al fondo tapperà qualche buca più profonda ma non aiuterà le famiglie delle nostre Comunità. Lei ha più volte detto LO STATO C’È. Io ci credo e vorrei ci credessero anche i miei cittadini. Siamo noi che abbiamo il dovere di rappresentarli e di tutelarli dalle insidie e dalle drammatiche previsioni.
Non è piaggeria riconoscerle: stima per il difficile ruolo che la storia le ha consegnato; gratitudine per la fermezza con la quale sta affrontando l’Europa; riconoscenza per la sobrietà che ha, anche in termini più strettamente formali, restituito dignità ed eleganza all’oratoria politica.
Le scrivo da cittadino, le scrivo da Sindaco. Più volte ho dovuto, per amore del mio Paese, allinearmi in nome del più alto principio democratico.
Ora Le chiedo, cortesemente, di ascoltarmi: non sono solo, molti altri amministratori, miei colleghi, sono pronti a rinunciare come me a quella indennità spettanteci per la carica ricoperta, a favore dell’emergenza in corso.
Perché essere un uomo di Stato, da qua giù, è certamente più difficile ma spesso molto più autentico.