Che Raffaello avesse studiato l’antico con estrema attenzione e rinnovato interesse è cosa nota e ampiamente testimoniata. Incaricato da Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici, di procurare marmi e altri materiali utili all’edificazione della nuova basilica di San Pietro, l’artista urbinate era stato eletto addirittura prefetto delle antichità. Questo nuovo ruolo serviva proprio ad evitare infatti che l’espoliazione dei monumenti antichi avvenisse senza controllo o cura e chi meglio di Raffaello poteva vegliare sulle vestigia dell’ormai perduta Roma imperiale?
Fin dai suoi primi lavori lo stile del Sanzio appare permeato da una grazia e una morbidezza che rimandano immediatamente alle linee della scultura e del bassorilievo classico. L’apprendistato presso il Perugino e i suoi soggiorni presso Firenze e Roma gli avevano consentito di entrare in forte contatto con tutta quell’illustre tradizione pittorica che, a partire dagli affreschi di Giotto, di tutto aveva fatto per ritrovare un contatto stretto con la tradizione antica. Il ‘500 diviene il secolo delle riscoperte: sulla spinta di un rinnovato interesse iniziano ad essere intraprese delle vere e proprie campagne esplorative che porteranno ben presto alla riesumazione di opere come il Laocoonte o già anche gli ambienti dell’immensa villa neroniana, la Domus Aurea.
Proprio lì, in quelle “grotte”, oggi è allestita una mostra che tenta di ripercorrere come lo studio delle pitture antiche influì sul fare arte dei decenni a venire. Dobbiamo immaginare infatti che quando Raffaello dovette calarsi nelle umide stanze sotterranee del colle Oppio per osservare de visu quelle decorazioni pittoriche antiche circa millequattrocento anni, ne dovette rimanere completamente ammaliato. Oggi è per noi estremamente difficile renderci conto della portata di una tale scoperta, assuefatti come siamo all’idea di una storia puntiforme, dove il passato è facilmente sostituibile con il presente e dove tutto assume dei contorni cronologici poco definiti. Eppure, in un’epoca come quella rinascimentale, dove antico e moderno apparivano chiaramente distanti ma dove l’obiettivo primario era quello di cercare un ricongiungimento, scoprire i dipinti a grottesche dovette costituire un’emozione tale da rinnovare del tutto la percezione del contemporaneo.
La mostra, futuristica nella forma ma estremamente suggestiva nei contenuti, appare un sentito tentativo di far comprendere come l’arte di Raffaello, ma non solo la sua, uscì completamente diversa da quel contatto diretto con ciò che antico lo era davvero. La scoperta delle sale della Domus Aurea rappresentò per più di una generazione di pittori la prima vera possibilità di confrontarsi con il passato, di riportarlo in vita, di captarne la forza. Quelle sale, dai soffitti così alti, divennero una vera e propria scuola, pratica ma anche e soprattutto ideologica capace di cambiare il corso della storia dell’arte.
Per ulteriori informazioni si consiglia di visitare il sito https://raffaellodomusaurea.it/la-riscoperta-delle-grottesche/