Bianco è il colore del pane come una pagina di quaderno senza righe. Pronto ai colori. Il giallo verde dell’olio appena fatto, un velo di zucchero, il rosso del sugo, il marroncino della nutella. Pronto ad impastarsi con il sapore del formaggio, o il verde scuro della cicoria. Il pane è cambiato. Era una pagnotta rotonda, forma ormai quasi scomparsa. La prima fetta la tagliava il padre a capotavola. Portava la pagnotta al petto e iniziava a tagliare. Il “culetto”, preda ambita. Croccante da morire, una ghiottoneria. In  genere il padre lo teneva per sé, oppure finiva al più svelto dei figli. E poi via con la prima fetta. Il luogo della pagnotta era al centro del tavolo. Andava messa nel verso giusto. La parte piatta sulla base del tavolo e la cupola rivolta in alto. Fare diversamente era mancanza di rispetto, quasi sacrilegio.

Era pane e marmellata

Il pane non si buttava mai, era peccato. Per anni il pane si faceva a casa e si cuoceva nei forni del paese o in quelli di campagna. Finiva nella madia, durava in genere 15 giorni, Era la riserva, l’assicurazione contro la fame. La fetta serviva a colazione nel latte, due fette farcite di broccoletti, erano il pasto di chi restava fuori per lavoro tutto il giorno. Pane  e zucchero per la fame improvvisa, oppure pane e olio con un pizzico di sale, certe volte anche pane e aceto, che non era affatto male. Era pane e marmellata. La Nutella arrivò dopo, ma con la fetta si trovò magnificamente. Il pane secco era la panzanella dell’estate, ben bagnato da due pomodori colti dalla pianta dell’orto e basilico dal vaso, era acquacotta con verdure e uova. Il pane appena cotto nel forno delle fattorie si festeggiava con “l’ovata” , grande padella di uova e pomodoro.

Venne il tempo dei vapoforni

Venne il tempo della pagnotta  lunga e dei vapoforni che rifornivano i negozi. Le due produzioni per anni e anni marciarono insieme, ma non cambiò il rito del padre che tagliava la pagnotta con il coltello grande. Ma era iniziato il conto alla rovescia. I ristoranti, poi, insegnarono che il rito del pane era superfluo. La pagnotta si tagliava a metà,  le due metà ancora a metà. E poi in velocità si facevano piccole fette  per il cestino. Aveva vinto il consumo. Il sacro e i suoi comandamenti finirono all’angolo. Così il pane divenne piccolo piccolo  e vezzoso.  Bocconcini, sfilatini, michette. Poi tartarughe, ciabatte, filoncini. Dall’estero arrivarono l’arabo e la baguette. Il pane si taglia sempre meno. Da rito collettivo è diventato merce individuale. Il rito della prima fetta è scomparso. C’era lo stare insieme  in quel gesto. Leggende, religioni, ricordate il pane di Cristo, la moltiplicazione del pane di Mosè. Passavano tutte da lì le storie. 

Oggi riempie la pattumiera, 13 mila  quintali ogni anno

Oggi due rosette e via. Si calcola che ogni anno  in Italia vengano gettate nei rifiuti 13 mila quintali di pane. Secondo un recente sondaggio  della Coldiretti soltanto la metà delle famiglie italiane consuma il pane del giorno prima, l’altra metà lo butta. I forni nei paesi della provincia tengono il punto ma anch’essi stanno cambiando. Il pane diventa vecchio in poche poi via tra i rifiuti. Forse questo è: abbiamo perso il pane, cioè il lievito del sacro. Lo smarrimento che angoscia le nostre esistenze, sta lì nella pattumiera. Bianco e vuoto senza aver trovato il colore e la storia per cui ogni giorno viene impastato.

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