Alla fine gli scienziati questa mattina il loro report a Conte lo hanno consegnato. Dicendo, da quello che dicono le indiscrezioni «per noi le condizioni per ripartire non ci sono ancora. E tanto meno per mandare la gente a spasso. Ma se proprio si deve limitiamo la ripartenza a qualche comparto industriale più essenziale e seguendo le misure di sicurezza che vi suggeriamo». Meno di una mezza apertura che lascia comunque il cerino in mano al premier che al «suo» Comitato scientifico (Cts) lo aveva detto chiaro e tondo: «Non posso fare quello che voi dite, l’economia deve ripartire o il Paese rischia di fallire. E non possiamo nemmeno obbligare troppo a lungo la gente a casa».

Sta di fatto che il nuovo dpcm di Conte, in arrivo domani, dovrebbe confermare il lockdown per altri quindici giorni. Poi si vedrà, in base anche all’andamento dell’epidemia e alla messa a punto di strategie di localizzazione e, soprattutto, del numero di tamponi che nel frattempo si riuscirà a fare.

Perché la domanda, escluso il Veneto che ne ha effettuati tantissimi (il Lazio, ad esempio, ne ha effettuati pochissimi in relazione al numero di abiranti e soltanto a chi presentava sintomi e non sempre), è alla fine una: quante persone asintomatiche ci sono? E quante, una volta riaperto, verrebbero contagiate?

 

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