Quanta Memoria storica è condivisa oggigiorno in Italia? Quanta Memoria unisce il nostro Paese? Quanta Memoria resta ancora da divulgare per renderla realmente testimonianza eterna?

Ci sono fatti, eventi e situazioni del passato che tuttora, a distanza di anni e di decenni, hanno pesi differenti e dissimili nella narrazione e nell’immaginario che se ne fa di questa.

Il concetto stesso di Memoria frammenta e distingue. Concetto che, invece, dovrebbe stare alla base di ogni “facoltà di ricordare”.

Giorni fa, un amico collega giornalista, mi ha fatto riflettere sul come, nell’ideale di ciascuno (sempre più soggetti ad esposizioni mediatiche incontrollate e, ahimè, incontrollabili) la parola “Memoria”, sin dalla sua pronuncia, diventa “materia” divisiva.

Alcuni, a questa, addirittura, preferiscono la parola “Ricordo”, proprio per distinguere, sin dal principio, già a livello speculativo, la Storia, recente o meno, del nostro vissuto.

Lo scrittore Mario Rigoni Stern, l’autore de “Il sergente nella neve”, autobiografia della ritirata di Russia, dà una definizione di Memoria vicina alla nozione di “vita”, di “valore della vita”.

“La memoria – secondo Rigoni Stern – è determinante. […] perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover’uomo. Non si tratta ‐ conclude ‐ di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita”.

Sta qui, in ciò che nota Rigoni Stern, il punto della questione, quindi: il valore che diamo alla vita.

La Memoria come albero con radici profonde, in questo senso, fortifica la terra su cui questo cresce, su cui questo vive. La fortifica e la vive perché, anche a furia di scosse, la stabilizza nel tempo fino a renderla compatta e solida.

Marcus Garvey, formidabile scrittore giamaicano impegnato nel secolo scorso a denunciare le condizioni di schiavitù in cui venivano fatte lavorare gli afroamericani negli Stati Uniti d’America, ha proprio ragione quando scrive che “un popolo senza la conoscenza della propria storia, origine e cultura è come un albero senza radici”.

E cos’è la Memoria se non Conoscenza? Cos’è la Conoscenza senza Memoria? E cosa succede quando si fa Memoria senza Conoscenza?

A quest’ultima domanda risponde bene Hannah Arendt, l’autrice della rivoluzionaria “Banalità del male”, Opera in cui la filosofa della teoria politica solleva il problema delle responsabilità di chi agevolò lo sterminio nazista, quando scrive che “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”. Normale, dunque. Persona normali che si macchiano di azioni mostruose… perché pur conoscendo ciò che stava accadendo non hanno Memoria del valore da dare alla vita.

Non esiste Memoria senza Conoscenza, che non è solo acquisizione di nozioni, ma che è soprattutto consapevolezza di ciò che è. Parimenti non può esistere Conoscenza, ovvero consapevolezza, senza Memoria, che è “il valore da dare alla vita”.

Resta ben inteso, comunque, che, per dirla con le parole di Benjamin Franklin, uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America: “I creditori hanno sempre miglior memoria dei debitori”. E già capire questo, in fine dei conti, sarebbe giusta e buona cosa…

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