Il Teatro Furio Camillo ha accolto qualche giorno fa l’adattamento teatrale de La Stele di Rosetta tratto dall’omonimo racconto scritto da Vanessa Tomaino che, con tratto narrativo delicato quanto incisivo, condivide con il pubblico un pezzo della sua vita. La Stele di Rosetta è una storia realmente accaduta che affronta, passando trasversalmente fra argomenti di interesse comune, il tema della sanità mentale (ri)disegnando uno spaccato di vita familiare nel quadro di un periodo storico che ha drammaticamente cambiato il senso della giustizia nel nostro paese: la strage di Bologna.
Perché raccontare di questo spettacolo? Perché farlo proprio in questi giorni? Il 13 e il 14
ottobre a Roma si terrà il Global Mental Health Summit (GMHS) che intende valorizzare l’approccio della salute mentale di comunità, in Italia e nel mondo. “In collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il GMHS svilupperà l’ambizioso piano di azione tracciato a Londra nel 2018, incrementando la consapevolezza e l’impegno in tema di salute mentale sia a livello politico che nella società civile. La salute mentale à una componente essenziale della capacità di resilienza delle comunità, ed è quindi fondamentale attuare politiche nazionali che promuovano sistemi di salute mentale inclusivi, efficaci e a tutela dei diritti” (fonte salute.gov.it)
La storia scritta da Vanessa Tomaino e curata nella versione teatrale da Marco Conte racconta la vita (vera) di Dino, giovane uomo convinto di essere l’imperatore francese che nel 1799 trovò la Stele di Rosetta, uno dei reperti archeologici più importanti della storia, perché risolse la comprensione di un linguaggio fino ad allora rimasto sconosciuto, i geroglifici. Dino è il figlio “riuscito male” in una famiglia che cerca di rispondere al codice socialmente accettabile nell’insieme delle brave persone. Ma codice universale di chi e per chi?
Facciamo un passo indietro: il 10 ottobre si celebra in tutto il mondo il World Health Mental Day – Giornata mondiale della salute mentale – con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sui problemi di salute mentale in tutto il mondo e mobilitarne gli sforzi a sostegno. La Giornata, celebrata per la prima volta il 10 ottobre 1992, è promossa dalla World Federation of Mental Health – Federazione Mondiale della Salute Mentale – e supportata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS).
Aumentare la consapevolezza è la chiave di lettura principale offerta dallo spettacolo La Stele di Rosetta. Cosa accadeva in Italia negli anni ‘70 riguardo al tema della riconoscibilità e del sostegno alle famiglie con parenti affetti da disagi mentali? In Italia le precarie condizioni dei malati mentali vengono denunciate a più riprese negli anni ’70, sulla scia delle proteste anticonformiste del 1968 fino ad arrivare alla legge 180 più conosciuta con il nome della Legge Basaglia. Queste denunce, supportate da fatti reali e condizioni invivibili da parte dei pazienti, sono note come la febbre da cancello nella quale chi si batté giustamente contro il manicomio non tenne conto di quanto sarebbe potuto accadere dopo la chiusura dell’istituzione manicomiale.
Tra le teorie più deleterie circolate in quel periodo e in tempi successivi sotto varie forme e aspetti, c’è quella del double-bind (doppio legame). Questa teoria sostiene che la famiglia, causa l’incapacità di comunicare con il disturbato, sia il motivo determinante della schizofrenia. Questa teoria, unitamente ad altre sconsiderate e non dimostrabili ipotesi, è stata nel tempo sconfessata e ripudiata dalla comunità mondiale.
Dino, protagonista de La Stele di Rosetta, è il figlio che va via di casa tanti giorni senza dare notizie di sé, che accumula maniacalmente cibo in un frigorifero per non usarlo mai, che manda quasi in rovina la sua famiglia. Che tradisce un legame di sangue mai realizzato: quello con suo padre, figura chiave nella versione teatrale che da voce alle paure legate al non saper come comunicare con un figlio così diverso da ciò che lui stesso può comprendere, lui che non sa leggere bene ma “che la vita qualcosa gli ha insegnato”. Lui che penosamente si recherà, come tanti altri esseri umani, a Bologna per cercare di scoprire se il suo Dino avesse compiuto l’ ultima gita silenziosa proprio in quella stazione.
La pièce presentata ci permette, in circa un’ora, di seguire i bizzarri discorsi di Dino, di scoprire perché affida i suoi pensieri più profondi alla giovanissima nipote, di accogliere le emozioni della sorella maggiore, di quella madre che lotta per non adeguarsi alla resa del capofamiglia. Siamo tutti dentro questa storia e non potrebbe che essere così. Ci permette, passando per l’arte e quindi la bellezza, di ricordare che siamo tutti a volte spettatori altre volte protagonisti di dolori che non hanno un linguaggio immediatamente decifrabile.
La Stele di Rosetta, nel suo esordio teatrale, ha visto le cure delicate alla regia di Daniele Marcori e i protagonisti sono stati portati in scena con l’attenzione che meritavano da Giuseppe Borrelli, Susanna Cantelmo, Diana D’Emiliano, Aurelio Grippa, Fiamma Leonetti. Non permettiamoci di non prendere in carico, ciascuno per le proprie possibilità, l’ambito della salute mentale accogliendo il suggerimento dell’OMS che invita tutte le parti interessate a lavorare insieme per approfondirne il valore e l’impegno, per rimodellare i contesti ambientali e sociali che impattano sulla salute mentale e rafforzare i sistemi che se ne prendono cura.