In tempi si sovranità alimentare, va detto che quella vera è nelle nuove vigne di Capena. Sono anelli di una catena antica, identitaria. Le nuove vigne sono  tre isole verdi ben curate nel cuore di una terra in abbandono. Colline che hanno ospitato popoli allevatori e contadini. Terra faticosa da lavorare, ma fertilissima. Oggi, sopra un dedalo di antiche tombe etrusche scampate a scavi ufficiali e clandestini, troneggiano cinghiali e lupi.
La località è nota come Le “Macchie” e si estende per ettari tra Morlupo, Capena, che ne occupa la maggiore estensione, Civitella e Rignano. La protegge il Soratte che occupa l’orizzonte È un mare di terra incolta. Ghiotto boccone per gli incendi estivi che infatti quest’anno l’hanno attraversata per cento ettari. Il fuoco ha questo di positivo, pulisce tutto
e mostra il territorio nella sua nudità. Tra decine di ulivi stroncati dalle fiamme e dall’incuria, le tre chiazze verdi risaltano ancora di più.

Tre bellisime vigne 

Sono tre bellissime vigne. Due sono quelle coltivate dalla cooperativa Agro Capenate. La prima di cinque ettari produce uva bianca. L’incendio estivo ha bruciato molti grappoli pronti a diventare adulti con la prima pioggia. La seconda copre altri cinque ettari ma è piantata sulla collina di fronte. Lì crescono le uve del Bellone, antichissimo vitigno dell’area romana, e le uve rosse. Qui il fucìoco non è arrivato. Dalle viti di questi 10 ettari sottratti all’abbandono e concessi dall’Università Agraria, ente pubblico proprietario, nascono quattro etichette: il Castellaccio bianco e rosso da tavola e due Igp (Indicazione geografica protetta), un Merlot e appunto il Bellone. Uva pantastica la definiva Plinio Il Vecchio, tipica delle campagne intorno Roma.
“Il Bellone – spiegano Antonio Pelliccia e Domenico Calicchia, due dei soci fondatori la cooperativa – è una delle sole tipologie varietali coperte da doc nella Regione Lazio. La produzione annua complessiva delle vigne è di 50mila bottiglie. L’area di commercializzazione è la Capitale e quella dei paesi intorno ai vigneti”.

 

Nonostante il fuoco, buono il raccolto, ottima la qualità.

Trovo i due soci in mezzo alla vigna del bianco una mattina d’agosto. Stanno alzando gli argini per evitare le razzie dei cinghiali ora che i grappoli vanno formandosi. Per tutto il perimetro stendono la barriera elettrica che si spera tenga lontano gli ungulati voraci e le loro famiglie numerose. “L’incendio ha compromesso il raccolto del bianco, in compenso
quest’anno produrremo un vino di ottima qualità – dicono -. Ma questo è un lavoro basato sul “dipende”: dipende se piove abbastanza, se la rete protettiva appena installata funziona, se non grandina… insomma dipende”. La terza vigna è giovane ed inizia solo quest’anno a produrre i primi grappoli. Si trova poco distante dalle due “isole
grandi”. È stata impiantata da Yuri Petrongari. Su tre ettari coltiva “Cesanese del Piglio”, vino di pregio della tradizione regionale. Ci vorrà ancora qualche anno per assaggiarlo. Il piccolo arcipelago di vigne delle Macchie nasce dalla passione di poche persone testardamente attaccate all’anima della propria terra, alla vita dei padri e dei nonni. Le isole che coltivano, tengono viva una lunghissima storia. La vendemmia ha dato i suoi frutti, il fuoco ha bruciato metà del raccolto dell’uva bianca ma  l’Igb Bellone si è salvato, cosi come la raccolta del Merlot. Ottima la qualità, é mancata la pioggia. La storia continua.

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