Sono stati resi noti nelle ultime settimane i dati (dell’anno 2017) riguardanti la permanenza dei giovani adulti in famiglia. Secondo l’Istituto europeo di statistica, Eurostat, il 49,3% dei giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 34 anni continua a vivere in casa con i genitori. Un dato allarmante se si considera la media europea (28,5%). Peggio dell’Italia si attestano solamente Croazia (59,7%), Slovacchia (57%) e Grecia (56,3%).

In Germania tra la popolazione compresa tra i 25 e i 34 anni si stima che abitino con i genitori soltanto il 17,3%, nel Regno Unito il 14,9% e in Francia il 13,5%. In vetta alla classifica troviamo la Danimarca con solo il 3,2%, la Finlandia con il 4,7% e  la Svezia con il 6%.

Negli ultimi anni la definizione “giovani adulti” è stata più volte sostituita da appellativi come mammoni oppure i più noti bamboccioni e choosy, termini coniati rispettivamente dal Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa (Governo Prodi II) e dal Ministro del Lavoro Elsa Fornero (Governo Monti).

Ma perchè il dato italiano è così negativo?
I giovani italiani trovano difficoltà ad uscire di casa essenzialmente perchè non possiedono un impiego che consenta un’indipendenza economica. Due sono i binari fondamentali.

Chi si ferma la diploma ravvisa molte difficoltà a trovare lavoro perchè si trova in mano una scarsa conoscenza delle lingue straniere e un bagaglio tecnico applicativo insufficiente. E’ evidente come il nostro sistema scolastico non riesca a preparare dei buoni tecnici, come forse faceva in passato. In questo modo, il ragazzo neodiplomato non può soddisfare le aspettative del mercato, nel quale si dedica poco spazio al momento formazione-lavoro.

I laureati, allo stesso tempo, non hanno maggiori fortune. Un buon percorso universitario, suddiviso in laurea breve, laurea magistrale e master, rischia di concludersi ad un’età troppo avanzata (circa 27 anni), lontana dalla media europea. Contestualmente c’è una distribuzione di studenti all’interno delle aree disciplinari lontana dalle esigenze di mercato, così da creare sacche di laureati che rischiano di non trovare mai una collocazione nel proprio settore.

Di certo, queste non sono le uniche cause, ma si aggiungono alla ormai ordinaria crisi delle imprese e ad una lunghissima fase di stallo del settore pubblico (che forse recentemente sta mostrando degli spiragli sul ricambio generazionale).

 

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