Fino al 15 ottobre sarà possibile visitare nelle sale al piano nobile di Palazzo Dosi-Delfini di Rieti la mostra “Maria Lai, Il pane del cielo”. La mostra è ideata da Sergio Risaliti in collaborazione con l’Archivio Maria Lai per Greccio 2023, Comitato Nazionale per l’Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe e partner. Il progetto trae ispirazione dal recente ingresso, nelle raccolte del Comune di Firenze, dell’opera L’offerta, realizzata da Maria Lai nel 2007. La piccola opera rilegge in chiave contemporanea la narrazione senza tempo del Presepe, rievocazione ideata nel Natale del 1223 da San Francesco, che ha inteso così celebrare la nascita di Gesù scegliendo una grotta di Greccio come luogo della rappresentazione.
La ceramica, il legno, la carta, le pietre sono solo alcuni dei materiali impiegati dall’artista per dare vita ai suoi presepi, nei quali lo sgomento per il mistero della venuta al mondo di Gesù lascia spazio alla fede nella rinascita. Amo il presepio – ricorda ancora Lai – perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo. L’interesse per la panificazione, metafora della vita e dell’arte, attraversa l’intera produzione di Maria Lai, che rimane affascinata sin dall’infanzia dalla ritualità e dal senso del mistero impliciti nel farsi da sé dell’impasto.
Siamo andati a visitare la mostra e ci siamo immersi in uno spazio di rara bellezza (Palazzo Dosi Delfini è un luogo maestoso) sospeso nel tempo, dove gli elementi del mondo si mescolano creando trame preziose. Il percorso espositivo permette al visitatore di avvicinarsi senza fretta alle opere di Maria Lai. Di godere dei dettagli che fanno di questa artista i tratti distintivi. Tutto è giocato sull’equilibrio fra anima e terra e il forte tratto spirituale crea un’atmosfera artistica unica.
Chi era Maria Lai? Protagonista defilata della storia dell’arte del Novecento, Maria Lai affida alla silenziosa epifania delle sue opere un messaggio di pace e umana compassione che la rende quanto mai vicina agli insegnamenti francescani. Dalle sue mani nascono manufatti poveri costruiti con sapienza antica, piccoli monumenti al desiderio di pace e di fratellanza, minuscole scenografie che riproducono in un’unica superficie la storia, i sogni e le utopie che resistono sparsi ovunque sulla terra, tra i popoli.
Fondamentale nella produzione matura di Maria Lai è il ricorso al filo, al ricamo, all’arte del cucito, che ritorna nei libri, pensati per essere tenuti tra le mani, toccati, sfogliati pagina per pagina, perché il lettore si fermi più a lungo e con più attenzione. Maria Lai affida al ricamo anche i suoi pensieri, i suoi aforismi, la sua autobiografia, traducendoli in delicate scritture su stoffa.
L’opera d’arte per Maria Lai non è oggetto di indagine scientifica ma possibilità di contatto con l’universale. Con questo spirito è necessario essere introdotti nella sala dove viene esposta la Via Crucis da lei stessa tradotta in arte. Un cammino che riconduce il visitatore a riflettere quanto potente, attuale e fuori dallo schema unicamente religioso sia il messaggio della via verso il Calvario.
Per via della salute cagionevole, ancora bambina, Maria viene affidata a parenti che stanno in campagna. «La mia vita con gli zii fu un grande viaggio nella fantasia, nella vastità della grande casa, della campagna, dei giochi. Ero analfabeta ma piena di favole. Ciò che ho fatto dopo, da adulta, è iniziato a quell’età».
Vive così un’infanzia libera, serena e carica di suggestioni fino ai 9 anni, quando arriva a Cagliari e anche per lei comincia la scuola. Del periodo trascorso a Cagliari è fondamentale l’incontro, che evolve in una vera e duratura amicizia, con un professore, Salvatore Cambosu, il quale l’avvicina alla poesia orientando la sua attenzione al ritmo, più che al significato.
Nel 1940 si trasferisce a Roma per frequentare il liceo artistico e poi dal 1942 al 1945 è a Venezia dove segue il corso di scultura tenuto da Arturo Martini all’Accademia delle belle arti. Finita la guerra torna nell’isola, dopo un viaggio rocambolesco compiuto fra treni, navi da guerra e scialuppe di salvataggio. Del 1957 è la prima mostra personale (unica donna a esporre in quell’anno alla galleria Obelisco).
Negli anni Sessanta sperimenta nuove forme e nuovi materiali: telai e pani a cui nel decennio successivo si aggiungono i libri cuciti e le geometrie-geografie di stoffe: «le mappe astrali rispondevano all’esigenza di un rapporto con l’infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze. I libri cuciti, al contrario, chiedono di essere tenuti tra le mani, toccati, sfogliati pagina per pagina, perché il lettore si fermi più a lungo e con più attenzione.»
Il 1979 è l’anno del suo primo intervento ambientale La casa cucita, Selargius (Cagliari), a cui seguiranno moltissimi altri interventi sul paesaggio come Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981, sorprendente alternativa alla proposta del sindaco che aveva richiesto un monumento. Maria Lai, partendo da una leggenda locale, unisce insieme ai suoi concittadini tutte le case, una con l’altra, e le case alla montagna franosa che incombe, con 26 chilometri di nastro azzurro. «Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era l’amore veniva fatto un fiocco.»
Ci sono poi molte esperienze in ambiti diversi e in collaborazione: teatro, scenografia, animazione, musica, grafica. Negli ultimi anni ha lavorato in più occasioni con Antonio Marras, artigiano-artista che come lei parte dalla memoria e dalle storie (enciclopediadelledonne.it)
«Cosa intendevi per arte quando hai scelto la tua strada?»
«Giocavo con grande serietà, a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte.»
Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013)