Piero Marrazzo e Luca Benigni, fotografati la sera della presentazione del libro a Roma.

La storia di Piero Marrazzo alla presidenza della Regione Lazio iniziò nel 2005 sotto il segno della sorpresa e si chiuse nel 2009, con uno tsunami. Sorprese la vittoria su Francesco Storace, considerato anche a sinistra imbattibile, stupì la sua capacità di governare un ente così faticoso, sconcertò l’improvviso e traumatico “the end” consumato in 72 drammatiche ore, proprio in questo stesso periodo nell’autunno 2009. In quei giorni si preparava il rush finale di Piero verso la riconferma, i sondaggi indicavano senza oscillazioni da mesi che il suo consenso tra i cittadini era del 65%.

L’onda violenta

L’onda violenta e improvvisa, un colpo secco, travolse invece ogni cosa, la sua vita pubblica, quella della sua famiglia, l’esperienza politica e amministrativa originale e positiva, la vita e il lavoro di uomini e donne di quel gruppo dirigente a lui più vicino. Tante vicende umane e professionali frantumate, tanti e diversi i segni che ha lasciato e che persistono in quelli che vissero gli effetti devastanti dei tre giorni del buio di Piero dal 20 al 23 ottobre 2009.

La fine

Io tra loro.

Ero in quegli anni il responsabile della redazione composta da almeno dieci magnifiche persone, giovani professionisti di grande valore, tra loro Camilla Laureti oggi europarlamentare Pd. Ero il tramite tra la direzione e quel giorno, attoniti, tutti loro, Gianluca, Marco, Fabrizio, Francesca, Camilla, Simone, Antonello, Enrico e tutti gli altri e altre, aspettavano di capire da me qualcosa di più di quello che scrivevano le agenzie. Comunicai a tarda sera che la storia di Marrazzo era finita ma che non c’era la resa, si continuava con Esterino Montino il vicepresidente, fino alle elezioni. Dopo lo tsunami, con quel gruppo di geniacci del mio cuor è rimasta amicizia profonda, solidarietà e un filo di amarezza che spesso, quando capita di vedersi in qualche osteria, affiora per la fine così brutta di una esperienza esaltante, interrotta sul più bello.

Il libro della ripresa

Per questo sono andato alla presentazione del libro che Piero Marrazzo ha pubblicato in questi giorni a 15 anni di distanza dai fatti, “Storia senza eroi”, un racconto di 300 pagine scritto insieme alle tre figlie, con cui tenta, e ci riesce a mio parere, di fare conti con quella parte della sua vita, la sua famiglia allargata, i parenti americani, il mitico padre Joe Marrazzo, le tre ragazze, le loro madri, la sua gente. Ma soprattutto con quelle sue fragilità che provocarono il black-out- improvviso e definitivo su una bella pagina di politica attiva e l’affermarsi di una nuova classe dirigente che lo aveva aiutato a creare un modello diverso di Regione libera dalla sudditanza storica nei confronti del Comune di Roma. Un profilo di ente al servizio dei cittadini improntato ad un sano pragmatismo, attraversato da buone intuizioni e senza schemi predefiniti, con una vena libertaria tipica della cultura socialista da dove Marrazzo veniva, attenta al merito ma con realismo.

Un’immagine della presentazione del libro a Roma, lo scorso 23 ottobre, presso la libreria Spazio Sette

La stagione riformista senza sudditanza verso il Comune di Roma

Un tratto riformista che divenne ancor più marcato dopo la sua nomina a commissario per il piano di rientro per risanare la sanità. Era emerso infatti un debito “monstre” di 10 miliardi per lo più, al ‘90% accumulato negli anni della Giunta Storace ed il Governo chiedeva misure draconiane di rientro, aumento delle tasse, chiusura di 20 ospedali, blocco delle assunzioni. L’azione della Giunta cambiò passo, mise in campo una grande capacità di ascolto della società, dei bisogni delle comunità locali, attenzione alle questioni dello sviluppo, alle crisi delle grandi aziende e ai lavoratori che ne erano coinvolti, al diritto allo studio e alla casa. Un progetto partecipato in cui molti giocarono la scommessa della vita. Persero posta e futuro in un week end.

Il ricatto

In questi stessi giorni del 2009 emerse un episodio accaduto nei mesi precedenti, a luglio per l’esattezza, che Piero Marrazzo sperò, come accade a molti quando fanno un errore irrimediabile, si risolvesse nel silenzio. Non raccontò nulla a nessuno, poi Berlusconi lo chiamo per avvertirlo che una agenzia legata alla Mondadori aveva un video su di lui. Il  muro del silenzio ormai era crollato e lui da uomo di comunicazione lo sapeva benissimo. Nonostante questo tacque ancora fino al giorno in cui venne convocato in Procura a Piazzale Clodio. Lì raccontò tutto la storia per filo e per segno. Debolezze private ma nulla a che vedere con il suo operato amministrativo. Quattro carabinieri infedeli gli tesero una trappola e girarono un breve video che lo riprendeva in un incontro con una prostituta trans e cocaina. Va da sé che non scrissero alcun rapporto perché lo scopo di quell’incursione nel privato di un uomo delle istituzioni era il ricatto. Il tentativo però fallì miseramente. Resta il mistero di chi li informò della presenza di Marrazzo a casa del trans in quel preciso momento.  I carabinieri poi sono stati tutti condannati e radiati. La giustizia ha fatto il suo corso. Il  libro racconta la fatica dell’ex anchorman per riportare  in pareggio, appunto senza eroi,  la sua vita e rimuovere  le ragioni di quel terribile silenzio sui fatti accaduti che tenne con tutti, proprio tutti, fino alla fine. E la vergogna che lo bloccò, travolgendo amici familiari collaboratori.

La Regione di Marrazzo

Alcuni esempi: la giunta Marrazzo tolse il ticket nonostante il piano di rientro adottando una delibera con cui si poneva un prezzo di riferimento per una specifica categoria di farmaci, i cosiddetti inibitori di pompa. L’atto era stato suggerito dai Medici di famiglia e avrebbe prodotto a regime un risparmio sulla spesa farmaceutica pari al doppio o triplo dell’importo incassato con i ticket. Un provvedimento rivoluzionario che scardinava il sistema con cui si determinava e si determina il  prezzo dei farmaci nel sistema sanitario e al pubblico. L’ipotesi fu prima valutata dal direttore generale della sanità regionale Silvio Natoli, scomparso qualche anno dopo, profondo conoscitore della sanità regionale che invitò i dirigenti regionali ad esaminare quella proposta, l’assessore al bilancio Luigi Nieri ne verificò gli effetti sui conti, poi misurando parole e concetti fu redatta la delibera. Ne venne fuori un testo inattaccabile per forma e contenuti.  Le multinazionali del farmaco esercitarono forti pressioni: ci fu in quei giorni per gli uffici della presidenza e dell’’assessorato alla sanità il via vai di addetti alle relazioni pubbliche e amministratori delegati, ma senza successo. Ricorsero al Tribunale amministrativo dove persero la battaglia e lo stesso accadde, mesi dopo, al Consiglio di Stato. La delibera divenne  un modello a livello nazionale ed altre regioni si avviavano a varare un provvedimento fotocopia, Ne sarebbe derivato un risparmio di miliardi per le casse dello stato senza nulla togliere ai cittadini e riducendo il tempo per sanare i bilanci ed eliminare l’aumento delle tasse. Le lobby respinte da Marrazzo trovarono però ascolto in Parlamento dove la commissione bilancio approvò un emendamento che azzerava quella soluzione con la compiacenza della sinistra. L’anno dopo il ticket tornò a pesare sulla tasche degli italiani.

Il piano di rientro e la chiusura del S. Giacomo

Intanto per  applicazione del piano di rientro le pressioni del Governo Berlusconi ed in particolare del Ministro Sacconi si fecero pesanti con l’invito ad agire subito sul fronte della chiusura di una lungo elenco di ospedali, ad iniziare da Roma dove il rapporto residenti posti letto era superiore al limite nazionale , pena il blocco delle risorse per la sanità del Lazio. Marrazzo in qualità di commissario  decise per la chiusura dello storico ospedale S.Giacomo, struttura nei pressi di Piazza del Popolo. Furente la  reazione di maestranze ed opinione pubblica, in prima fila il giornalista Furio Colombo, ma il presidente tirò diritto spiegando che la chiusura di quell’ospedale era necessaria poiché non comportava riduzione assistenziale per i residenti del centro di Roma, in quanto a poche centinaia di metri c’era il S.Spirito, poco più distante il Policlinico Umberto I. Anzi, insieme a Montino, la sera delle chiusura andò all’assemblea di medici, infermieri, personale affrontando, come si può immaginare, un clima incandescente. La rivolta rientrò. I giornalisti da quel giorno presero  a chiamarlo “l’incantatore di serpenti”.

Il caso Alitalia

Quando si verificò la crisi dell’Alitalia Marrazzo accolse la proposta del suo team di avanzare la richiesta di entrare nell’azionariato della nuova società di imprenditori sollecitata dal presidente del Consiglio Berlusconi, come segnale di vicinanza ai lavoratori perché la crisi e i licenziamenti che ne sarebbero derivati avrebbero coinvolto migliaia di famiglie del Lazio. D’altra parte molte Regioni pagavano Ryanair. La proposta ebbe rilievo nazionale ma scontò tiepidi consensi da parte di tutti gli schieramenti. Rimase una bella proposta.

Quel drappello di socialisti

Il motore politico di quella regione era il Pd certo, ma l’anima era costituita da un gruppetto di socialisti che nulla aveva a che vedere con lo stereotipo del socialista così come ce l’aveva consegnato tangentopoli. Erano l’opposto, rigorosi, quasi stakanovisti onesti e creativi.  Misero nell’azione di  governo quel filo anarchico e libertario tipico della tradizione socialista: niente dogmi, curiosità e coraggio.  Di tutta questa vicenda dai molti tratti letterari, forse quel gruppo di mischia fu quello che pagò il prezzo più alto. Molti di loro avevano  lasciato la politica da anni, erano ai vertici di grandi aziende, gestivano piccole imprese. Tornarono per supportare Marrazzo, lasciando anche posti di lavoro importanti. Una sfida per riscattare l’onore dei socialisti, forse. Almeno in parte. Piero dava loro questa occasione, ma  anche questa volta il loro slancio generoso si infranse su una sorta di suicidio politico del capo, con in sovrappiù  la consapevolezza che ormai non ci sarebbe stata altra occasione e che bisognava  solo ricominciare daccapo e rimettere insieme i cocci dello tsunami.

Epilogo 

Piero Marrazzo ammise ogni cosa di fronte ai suoi collaboratori e al vice presidente solo il venerdì, a tempesta in pieno svolgimento, dopo una bolgia di conferenza stampa che si tenne all’uscita di Palazzo Chigi. Il pomeriggio dello stesso giorno l’avvocato Luca Petrucci era andato  a piazzale Clodio e tornò con una copia del verbale firmato da Piero. Era finita. Il giorno dopo, consegnò nelle mani del vicepresidente Esterino Montino il compito di proseguire e tentare di salvare quell’esperienza di governo per molti tratti originale. Marrazzo  si rifugiò presso l’Abbazia di Montecassino. I capi della comunicazione citati nel libro, Sandro Cristaldi capoufficio stampa,  il portavoce Nicola Zamperini e Michele Misuraca, responsabile della comunicazione istituzionale, grandi professionisti, fecero un passo indietro, lasciando a me la prima linea a fianco a Montino. Nei mesi successivi e fino alle elezioni, il vice presidente fece assai bene la sua parte, cosi  noi dell’ufficio stampa. Ma il Pd laziale invece di candidare lui e accettare la battaglia in campo aperto difendendo quella pagina di politica e  governo,  optò per una sterile di discontinuità indicando Emma Bonino alla presidenza. Ottima persona, ma dal profilo spiccatamente metropolitano e nazionale e per nulla in sintonia con la provincia profonda del Lazio che invece Montino conosceva strada per strada. Ne derivò la  sconfitta più brutta ad opera di una destra di avatar,  la lista dei candidati veri infatti fu presentata dal centrodestra fuori tempo massimo. Vinse Renata Polverini.

L’Abbazia di Monte Cassino

Il caffè con i trans

Tornando a casa la notte delle sconfitta mi fermai con un collega, Fabrizio, al bar della stazione metro Fermi per comprare le sigarette e l’ennesimo caffè. In fila dietro di noi incombevano persone dalla voce un po’ cavernosa che  scherzavano tra loro. Presi le sigarette, mi voltai, erano due gigantesche  trans brasiliane. Al banco presi il caffè al loro fianco. Era tutto cominciato con una trans e in compagnia di due allegre trans, finiva  una bella storia di lavoro. Ridemmo. La vita certe volte fa strani scherzi.

Mannaggia Piè

Tre anni dopo l’ultimo fotogramma. Una notte mi fermò la polizia stradale di Fiano Romano in servizio al casello di Castelnuovo di Porto, opera che avviò, concluse  e inaugurò proprio la Giunta Marrazzo. Venivo da Capena diretto a Roma. Ero stato da mia madre, la badante mi aveva chiamato perché sembrava non stesse bene. Falso allarme fortunatamente. L’agente mi chiese i  documenti come di rito e di fare la prova del palloncino per misurare il tasso alcolico. Mi venne da ridere e lo dissi all’agente: “Al massimo mi può misurare il tasso di caffeina  perché ho preso un caffè cinque minuti fa”. L’agente rise ma fece il suo dovere, poi mi chiese che lavoro facessi, saputo che ero un giornalista chiese in che testata. Dissi che lavoravo in Regione come ufficio stampa  e che avevo lavorato con Piero Marrazzo. A quel punto mi aspettavo di rimando qualche becero commento, ero preparato, invece… L’agente mi guardò e disse: “Allora lei mi sa dire perché si è dimesso? Non aveva fatto niente, era vittima, mica colpevole, aveva anche fatto buone cose, era una brava persona, mi piaceva…”

Mi sorprese. Farfugliai che non poteva  fare altro, che era impossibile far finta di nulla  insomma… Non mi sembrò molto convinto, mi consegnò i documenti e poi imboccai veloce l’A1 verso Settebagni, immerso nella notte della piana del Tevere.

Sollevato, quasi felice, dissi solo, tra me e me: mannaggia Piè!

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