Francesca Scalfari e Simon Wood sono stati arrestati a Zanzibar la mattina del 7 giugno. Senza alcun preavviso, per un precedente contenzioso civile con due ex soci. La legge del posto non prevede che i due possano uscire su cauzione, perché una delle accuse riguarda il riciclaggio di denaro.
Stamattina abbiamo parlato con Donato Scalfari, zio di Francesca, che vive a Morlupo. Con la voce rotta da un misto di emozione e preoccupazione ci racconta la loro storia.
“Francesca è la mia unica nipote femmina, fra me e lei c’è un legame particolare. È caparbia, è riuscita a far avverare il suo sogno aprendo lo “Sharazad Boutique Hotel” in una delle spiagge più belle di Zanzibar. È sposata con Simon e insieme hanno un bambino di undici anni, che in questi giorni è nel padovano coi nonni materni“.
Ci racconta che, quando Simon e Francesca vengono a sapere che due filantropi di Bassano del Grappa sarebbero disposti a finanziare parte del loro progetto, decidono di entrare in società. Dopo poco però appare chiaro che i coniugi veneti volessero estromettere i due dal loro stesso progetto, ci dice lo zio.
“Quella era la loro casa, si sono ingranditi e l’hanno trasformata in resort”
La favola si interrompe quando la nipote di Donato e il marito si trovano in tribunale, citati in causa dalla coppia di (ormai ex) soci.
“Il Tribunale, e successivamente l’Alta Corte, stabiliscono che la struttura dovesse essere di esclusiva proprietà di Francesca e Simon al 50% stabilendo anche un risarcimento di 600mila dollari per Giuseppe e Isabella Viale, gli ex soci“. Il risarcimento, versato su un conto individuato dal tribunale, non è mai stato riscosso dai coniugi Viale.
“Più e più volte mia nipote e il marito hanno cercato accordi con Giovanni Viale, che poi andavano in fumo una volta che tornava a casa”
La vicenda sembra giungere al termine grazie alla finalizzazione di un nuovo accordo secondo cui il risarcimento sarebbe stato di 1.2 milioni. Una cifra da capogiro che Francesca e Simon erano pronti a pagare per evitare di “trascinare per le lunghe questa vicenda imbarazzante“. A questo punto però i coniugi Viale pongono un’ulteriore condizione inaccettabile per Simon e Francesca: i soldi devono essere versati su un conto in Tanzania e non sul loro di Bassano.
A dimostrazione dell’innocenza dei nipoti, Donato ci racconta anche che una delle cause intentate in passato è stata addirittura smentita: secondo i Viale, Simon e Francesca avevano registrato la società a nome loro pur non potendo. Le carte in loro possesso affermano il contrario perché i nipoti l’hanno registrata solo dopo la sentenza del tribunale che li autorizzava. Per quanto riguarda il riciclaggio di denaro invece, “ogni movimento, sia in entrata che in uscita, è stato fatto tramite le banche, anche quando si trattava di prestiti da amici o familiari“.
Proprio a causa di quest’ultimo capo di accusa però i nipoti di Donato sono in carcere da più di dieci giorni, ovviamente separati: “mia nipote è in una cella con sei detenute. Al marito invece hanno rasato i capelli e condivide la cella con altri 200 carcerati, molti dei quali criminali pericolosi“.
Il fratello di Francesca è riuscito a incontrare la sorella una sola volta per circa 10 minuti e con il cognato è potuto rimanere la metà del tempo. In merito alle visite Donato ci confida i suoi dubbi: “ogni volta per vederli serve la firma di qualcuno che non c’è mai, ed è anche stato negato più volte l’ingresso al nostro avvocato e all’ambasciatore italiano“.
Donato ci dice che “i ragazzi” sono benvoluti da tutti sull’isola. “Pensi che 15 giorni fa Francesca era a un ricevimento dove credo che fosse l’unica caucasica. C’era il Presidente di Zanzibar, alcuni reali di altri Stati africani e anche il Premio Nobel per la letteratura che mia nipote conosce personalmente“.
In tutta questa situazione, la soluzione prospettata dall’avvocato dei Viale spicca per l’assurdità legislativa e procedurale. Il legale della controparte, infatti, propone di trattare con i suoi assistiti per fare in modo che ritirino le accuse.
Martedì si terrà un’udienza preliminare, e quando chiedo come hanno intenzione di muoversi i familiari, sospirando, Donato dice che per lui e la moglie non è facile prendere una decisione in questo momento. “Siamo praticamente chiusi in casa, abbiamo parlato una volta sola con i nostri vicini e non abbiamo la forza di fare progetti. Mio fratello, il papà di Francesca, non può partire per problemi di salute e se martedì dovesse finire come speriamo allora parleremo con in ragazzi sul da farsi. Se non si dovesse trovare soluzione, quasi sicuramente io a mia moglie partiremo“.
Da parte loro gli avvocati sono molto fiduciosi, anche se sanno che si tratta di una situazione delicata e imprevedibile. La diplomazia italiana, pur non potendosi schierare apertamente dalla parte di uno o dell’altro, si sta operando per cercare di ottenere almeno i domiciliari, e durante l’udienza di martedì prossimo entrambi gli ambasciatori, italiano e britannico, saranno in aula.
“Anche solo ottenere i domiciliari sarebbe un’enorme garanzia di tranquillità per noi ma soprattutto per loro”
Una delle ultime domande che gli faccio è relativa a cosa potrebbero fare i Viale per evitare questo trattamento inumano, e ancora una volta la risposta è inaspettata. “So che ieri mattina l’ambasciatore italiano li ha contattati chiedendogli se fossero disponibili a parlare con il fratello di Francesca. Inizialmente si sono dichiarati disposti ad incontrarlo, dopodiché sono tornati sui loro passi dicendo che si sarebbero incontrati i rispettivi avvocati a Dar es Salaam, la città più grande della Tanzania”, a circa due ore da Zanzibar.
“La gente in Italia dovrebbe cominciare a capire chi sono queste persone a cui affidano soldi per beneficenza“, ci dice Donato.
In ultima battuta, con la voce ancora emozionata, Donato ci racconta orgoglioso un aneddoto: “Francesca e il marito non sono solamente imprenditori nel settore del turismo, ma sono impegnati socialmente in tantissime iniziative a Zanzibar. Un paio d’anni fa, per esempio, mia nipote si è data da fare per dare una stia per polli ad alcune famiglie della città“.
Concludiamo la telefonata con la promessa di risentirci dopo martedì, con la speranza che la giustizia faccia il suo corso, e che Simon e Francesca possano riabbracciare il figlio e tutte le persone di Zanzibar che li aspettano con ansia.