La Serie A è ripartita e da qualche settimana è stato dato il fischio d’inizio anche al calcio provinciale. Si torna a giocare nella nostra area, tra ritorni, conferme e volti nuovi. Calcio provinciale, guai a chiamarlo calcio minore, vista la passione e l’impegno che lo accompagnano.
Per un paio di anni, dopo alterne vicissitudini in mezzo al campo, ho seguito la squadra del mio paese, l’ASD Faleria Calcio, in giro per la provincia viterbese, e non solo. Il modo in cui si vive questo sport a questi livelli è qualcosa che non può essere compreso da chi si nutre solo di pay tv, partite in prima serata e Champions League. Si vengono a scoprire persone e storie che altrimenti resterebbero sconosciute, si creano legami che poi è difficile distruggere. Tutto è iniziato tre stagioni fa, quando dopo uno stop di diversi anni, un manipolo di sognatori ha deciso di riportare il calcio a Faleria. Si ripartiva dalla Terza Categoria, sugli spalti, in casa e in trasferta, poca gente, soprattutto due, i due che di fatto sono i fondatori degli Ultras Faleria. Le partite lontano da casa finivano quasi sempre dentro un ristorante, a bere qualcosa e a parlare della nuova, ennesima, sconfitta.
L’anno successivo, quello che è coinciso, fatalità della sorte, con il mio addio al calcio e conseguente vittoria del campionato da parte del Faleria, è stato qualcosa di unico. Una squadra fortissima in mezzo al campo, un allenatore, una dirigenza e un presidente unici, una tifoseria “giovane e bella”. Negli occhi ho ancora la trasferta di Magliano Romano, in quello che nelle rivalità sportive-cittadine doveva essere il derby. Finì 2 a 1 per il Faleria, sugli spalti, come tifosi, eravamo più di venti. Non una folla oceanica, nessun settore ospiti gremito. Ma quello che bastava per emozionarci.
L’anno scorso è stato un campionato difficile: la Seconda Categoria portava in dote speranze e sogni ma anche avversari più pronti e preparati. È stato un campionato, per chi lo ha vissuto sugli spalti, fantastico. La trasferta di Manziana sotto la pioggia, quelle di Vetralla e Ronciglione, l’arrivo in casa dei tifosi del Sacrofano, i sabati pomeriggio passati a sgolarsi sulla gradinata. Poi le corse per comprare gli ultimi fumogeni, le sciarpe che non riuscivano ad arrivare, i pomeriggi passati a preparare striscioni e coreografie, tra vernice, scotch e voglia di cantare.
“Forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro”, diceva Colin Firth in Febbre a 90’. È vero e non voglio star qui a spiegare cos’è il tifo, quant’è bello il calcio o cose simili. Ma arriviamo al dunque. Lo scorso anno il Faleria, grazie all’impegno di tutti, in campo e fuori, è riuscito a salvarsi. La vittoria più bella però, è arrivata dagli spalti, quando insieme a noi, tra bandiere e megafoni, sono iniziati a venire i più piccoli. Maschi e femmine, ragazzini e ragazzine, che si sbrigavano a fare i compiti e lasciavano stare la playstation per tifare la squadra del Faleria. Non la Roma o la Lazio, né tantomeno la Juventus o l’Inter. Il Faleria.
Quest’anno tutto questo ha rischiato di non esserci. Il nucleo storico dei ragazzi di Rignano ha salutato il Comunale per ricreare la formazione del loro paese (e in fondo non c’è cosa più bella e più emozionante), a Faleria è arrivato un nuovo presidente, un nuovo allenatore e qualche nuovo calciatore, proprio da Magliano Romano. Ma non bastava, non c’erano i numeri, la squadra rischiava di non essere iscritta.
Sarebbe stato un peccato mortale, un insulto a Eupalla, divinità che per Gianni Brera controlla il destino del pallone. La scelta allora è stata automatica: chi non giocava da qualche anno ha rispolverato gli scarpini, chi era tesserato lontano ha deciso di avvicinarsi, chi la partita la viveva solo dalla tribuna ha deciso di entrare in campo. Così Faleria anche il prossimo anno avrà la sua squadra. Così il prossimo anno, come a Rignano, Magliano, Castelnuovo, Morlupo, Riano e Sant’Oreste, ci sarà qualcosa da vivere il fine settimana, qualcosa di cui lamentarsi il lunedì mattina, qualcosa a cui appassionarsi tra martedì e giovedì.
Qualcosa per cui sognare, se non è troppo.