In questi giorni combattiamo il Covid-19, un virus che ha infettato le nostre vite a prescindere dal fatto se ci abbia toccato o meno. Di certo occupa i nostri pensieri da mane a sera e non va bene. C’è altro, deve esserci anche altro. E’ bello cantare insieme sul pianerottolo di casa però occorre ricordare, occorre tenere viva la memoria, evitando che venga annerita dal fumo delle nostre angosce. Questo è resistere. Oggi, per esempio, ricorre la data del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione barbara dei cinque uomini della sua scorta. Ma sta passando in secondo piano, troppo in secondo piano. Non lasciamo che accada. Perché quel fatto cambiò la nostra vita quanto il coronavirus oggi.
La”geometrica potenza” era solo banale violenza
Allora si parlò di “geometrica potenza”, ma era solo un esercizio di banalissima violenza che però mutò il nostro modo di vedere il mondo incidendo sulla realtà sociale e quella politica. A pensarci bene le due vicende hanno vari punti in comune. A via Fani quella mattina del ‘78 si uccise una speranza e morirono uomini per bene che stavano facendo il proprio lavoro. Quel 16 marzo ebbe inizio il tempo della costrizione, dell’esercito per le strade, dei sospetti, delle polemiche furibonde e delle trame oscure. Mentre un uomo, un uomo politico di grande mitezza e immenso coraggio, diventava ostaggio per essere poi lasciato cadavere in via Caetani il 9 maggio dello stesso anno. Oggi gli ostaggi siamo tutti noi, ostaggi di un virus infido e sconosciuto che esercita sulle nostre vita la stessa banalissima e feroce violenza. Ulteriore similitudine, proprio all’inizio di maggio – dicono gli esperti – dovremmo essere fuori dal tunnel.
Ricordare oggi Moro e la sua scorta aiuta a restare vivi
Ricordare Moro e gli uomini della sua scorta, aiuta a restare vivi. Per noi che siamo nati o abitiamo la Valle Tiberina il ricordo di Aldo Moro vale ancora di più. Lui e famiglia percorrevano spesso la provinciale per arrivare alla casa di campagna a Torrita Tiberina. Scendevano dalla rampa di Prima Porta, passavano il bivio di Riano, poi Capena, Fiano, quindi Nazzano, per imboccare l’ultimo tratto di strada verso quella casa un po’ fuori paese che guardava la piana del Tevere e le alture sabine. Con lui, nei weekend c’era quasi sempre Oreste Leonardi, carabiniere e capo scorta che poi lo accompagnava ai vari appuntamenti politici e religiosi. Tra questi la messa vespertina di Filacciano. Ogni domenica, quando Moro era a Torrita, Leonardi lo seguiva nella chiesa del paese vicino, l’unico dove si officiava il rito introdotto da Pio XII per quelle persone che non avevano potuto partecipare a quello mattutino. Fu così che, aspettando Moro, il caposcorta diventò amico dei paesani, tanto da confidare loro che una volta in pensione sarebbe andato a vivere lì.
A Filacciano la stele per Leonardi, a Torrita la tomba di Moro
Oggi, per volere degli abitanti, il corso principale del paese dominato dalla mole di Palazzo Del Drago porta il suo nome ed accanto al Comune c’è una piccola stele che lo ricorda. Mentre a Torrita nessuno ha dimenticato le passeggiate di Moro con i figli e la moglie Agnese che con riposa accanto a lui nel piccolo cimitero del paese. Ecco, oggi è un giorno di sole, rubiamo spazio al coronavirus e dedichiamolo alla memoria di questa nostra gente. Anche così si resiste.