Sono cinque i morti dell’agguato del 16 marzo 1978, quando le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro. Tre agenti della Polizia, Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Raffele Iozzino, e due carabinieri, Domenico Ricci e Oreste Leonardi, il capo scorta del presidente della Democrazia Cristiana. Ed è proprio la sua storia che vogliamo raccontare. Una storia che passa anche per i nostri comuni, per il nostro territorio. Una storia che passa per Faleria.
Ma facciamo un passo indietro, un passo indietro di quasi cento anni. Oreste Leonardi nasce il 10 giugno 1926, a Torino. Suo padre, Ernesto, è brigadiere dell’Arma dei Carabinieri e durante la Prima Guerra Mondiale viene ferito in battaglia: una pallottola lo colpisce al polmone. La metà viene asportata, l’altra rimane nell’alveolo. Rimane lì e quasi trent’anni dopo torna a farsi sentire: gli causa un tumore che nel 1944 lo porta via. Oreste Leonardi ha 18 anni, ha finito di studiare e decide di seguire le orme paterne. Nel 1946 si arruola, nel ’49 è vicebrigadiere, nel ’51 brigadiere. Come ha raccontato Pino Calabrese nel suo monologo teatrale “L’ombra di Aldo Moro“, Oreste Leonardi “ha attitudini fuori del comune: fisico possente, fiato, spalle, gambe, resistenza, tenacia. Ottimismo e caparbietà. Anche le doti intellettuali non scherzano: riesce a diventare traduttore dal francese senza vocabolario“. E ancora: brevetto di istruttore di educazione fisica, di nuoto, da paracadutista e cintura nera di judo.
Nel 1973 diventa Maresciallo Maggiore ed è proprio in questi anni che passa per Faleria, dove presta servizio alla Stazione di Carabinieri. Un aneddoto venuto alla luce nel 2015, quando proprio nel Comune, dove c’è una via che porta il suo nome, l’Amministrazione Comunale per celebrare la ricorrenza, contatta il figlio, Sandro. Lui e sua sorella Cinzia sono figli, in qualche modo, anche di questo territorio, di questa parte di regione. E’ a Viterbo, infatti, che Oreste Leonardi, durante una festa di carnevale, conosce Ileana Lattanzi, sua futura moglie.
Viterbo, Faleria, ma non solo. Anche Filacciano, dove il Maresciallo era di casa, come aveva raccontato Luca Benigni in questo articolo sul nostro blog. Una vita tranquilla, ordinaria, semplice. Prima della chiamata, di quelle che fanno fare carriera, di quelle da prendere al volo: capo scorta di Aldo Moro. Quasi 15 anni di servizio, fino a quel 16 marzo del 1978. La Fiat 130, via Mario Fani, la Colt 38 di Leonardi chiusa in un borsello sotto il sedile. 9 proiettili sul suo corpo, uno all’altezza del cuore. Solo il tempo di girarsi, di far abbassare Aldo Moro, di provare a proteggerlo. “Prescelto da molti anni in virtù delle sue preclari qualità – recita la motivazione della Medaglia d’oro al valor civile – per il servizio di sicurezza ad eminente personalità politica, si dedicava alla propria missione con profonda abnegazione e cosciente sprezzo del pericolo. Durante proditoria aggressione perpetrata con estrema efferatezza da gruppo di terroristi, mentre assolveva con responsabile e coraggioso impegno il proprio compito, veniva trucidato con numerosi colpi d’arma da fuoco esplosigli da distanza ravvicinata, sacrificando la vita ai più nobili ideali di eroismo ed alto senso del dovere“. Una storia dimenticata, nascosta nei libri, tra le ricorrenze, le targhe. Una storia che si intreccia con i nostri comuni, con le nostre zone. E che merita di essere ricordata.