Nella realtà medica la sintomatologia di un paziente è fondamentale per poter eseguire una diagnosi, ed è altrettanto necessaria per far sì che l’individuo che ne soffre riconosca il problema e decida di rivolgersi ad un medico. Purtroppo, non tutte le patologie sono così rumorose da attirare l’attenzione del paziente e da spingerlo nello studio del medico, alcune rimangono nascoste, senza nessuna conseguenza evidente, continuando a diffondersi silenziosamente.

 

L’osteoporosi, analogamente ad altre malattie, non dà sintomi nella fase precoce fino a che non ha raggiunto un livello di compromissione della struttura ossea tale che una sollecitazione o un lieve colpo causi una frattura ossea, svelando la patologia. È ormai noto che, per via dei cambiamenti ormonali dovuti alla menopausa, ad esserne maggiormente colpito è il sesso femminile ma, predisposizioni genetiche, stile di vita, abitudini alimentari e trattamenti farmacologici fanno si che anche gli uomini ne siano affetti.

 

L’osso è un tessuto connettivo particolare, composto per circa 2/3 da cristalli inorganici simili all’idrossiapatite immersi in una matrice proteica (formata principalmente da collagene, glicoproteine e proteoglicani) che ne occupa la restante porzione. E un tessuto vivo e dinamico che ogni circa 8 anni si rinnova totalmente grazie all’azione concomitante di due processi opposti, uno di riassorbimento (operato dagli osteoclasti) e l’altro di deposizione ossea (a carico degli osteoblasti).

 

Il metabolismo osseo è regolato da diversi fattori che governano la crescita, l’invecchiamento e il mantenimento di questo tessuto e che allo stesso tempo permettono di regolare l’omeostasi fosfo-calcica (livelli sierici di Ca2+ e PO43-), attingendo ai sali minerali presenti in esso, o viceversa, depositandoli qualora il loro livello sierico fosse troppo elevato. Questa regolazione è operata principalmente dalle ghiandole paratiroidi che, possedendo un sensore per il calcio (recettore CaSR “calcium sensing receptor”), percepiscono le variazioni di calcemia e in risposta producono l’ormone paratiroideo (PTH). Questo ormone agisce sia a livello degli osteoblasti/osteoclasti aumentando quindi il metabolismo osseo, sia a livello renale, favorendo il riassorbimento del calcio e la sintesi del principale metabolita della vitamina D, il calcitriolo, che a sua volta stimola l’assorbimento intestinale di calcio e fosfati. Sul metabolismo osseo agiscono anche altri fattori come gli estrogeni che ostacolano il differenziamento degli osteoclasti o come la calcitonina che, inibendo sempre lo stesso tipo cellulare, blocca il riassorbimento osseo o ancora l’ormone della crescita (GH) che partecipa allo sviluppo dell’apparato scheletrico, i glucocorticoidi che riducono l’assorbimento di calcio e fosfati a livello intestinale e contemporaneamente promuovono la loro escrezione renale o infine le vitamine A e C e l’insulina che sembra essere implicata nel rimodellamento osseo (correlazione tra diabete mellito ed osteoporosi). Inoltre, in aggiunta agli stimoli endocrini, il tessuto osseo risponde positivamente anche agli sforzi meccanici generati da attività fisiche di carico come la corsa, il ballo e il calcio e conseguentemente risponde negativamente a periodi più o meno lunghi di immobilizzazione.

 

Carenze nutrizionali o una disfunzione all’interno del metabolismo osseo possono portare ad una prevalenza del processo di riassorbimento osseo rispetto a quello di deposizione, andando a ridurre la “bone mass density” (BMD) e portando con gli anni ad una condizione di fragilità ossea.

 

Oggi l’osteoporosi appartiene a circa il 18,5% della popolazione femminile compresa tra i 40 e i 79 anni e al 10% di quella maschile (tra i 60 e i 79 anni), rendendo questa patologia, e le fratture ad essa associate, uno dei maggiori problemi socio-sanitari del mondo occidentale. Infatti, osservando le statistiche relative alla frattura del femore in pazienti osteoporotici si può vedere che il 25% muore entro un anno dalla lesione, il 50% resta disabile e l’80% invece perde permanentemente la propria indipendenza. Da ciò si possono intuire le ripercussioni psicologiche che una diagnosi di osteoporosi possa suscitare nell’individuo che ne soffre. Oltre a dover fare i conti con il consistente tasso di mortalità dovuto al trauma, i pazienti devono affrontare l’elevata probabilità di perdere la propria indipendenza, affidando ai parenti il pesante compito di provvedere ai loro bisogni. Ad oggi, l’osteoporosi viene trattata con diversi farmaci che mirano o a bloccare il processo di riassorbimento osseo (farmaci anti-riassorbitivi) o a stimolare quello di addensamento (farmaci anabolici) andando nel complesso a lavorare sull’aumento della “bone mass density” (BMD) e quindi ad accrescere la resistenza meccanica dell’apparato scheletrico. Tuttavia, al fine di rendere queste terapie efficaci è necessario che il paziente abbia un adeguato apporto di calcio con la dieta e un contenuto di vitamina D sufficiente a garantirne l’assorbimento a livello intestinale. Infatti, la vitamina D, più nello specifico la sua forma attiva (il calcitriolo) è necessaria per poter assorbire efficacemente questo metallo, e il suo approvvigionamento attraverso la dieta e l’esposizione solare è fondamentale per una corretta salute delle ossa. Chiaramente, come già accennato prima, sono molti i fattori che possono contribuire all’insorgenza dell’osteoporosi e la sola dieta può non essere sufficiente a prevenire questa patologia. Quindi oltre a rimuovere i fattori di rischio potenzialmente modificabili come dieta carente in calcio e vitamina D, scarsa attività fisica, fumo di sigaretta e abuso di alcool è consigliabile, in età adulta, sottoporsi a degli esami specifici come la MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), così da valutare lo stato della propria massa ossea e da poter iniziare repentinamente con la terapia in caso di densità ossea ridotta. Questo discorso vale maggiormente per tutti quegli individui a rischio come le donne in menopausa, coloro che possiedono una componente genetica o chi assume terapie farmacologiche che rendono suscettibili all’osteoporosi (trattamenti cortisonici).

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