Temi ambientali, la città di Roma e un po’ di calcio sono gli argomenti che abbiamo trattato nell’intervista che gentilmente ci ha rilasciato Paolo Cento.
Conduttore di un programma radiofonico per Radio Roma Capitale, inizia il suo percorso politico come consigliere comunale prima e poi come consigliere regionale, prima di essere eletto per tre legislature alla Camera dei Deputati.
Da sempre impegnato per la tutela dell’ambiente.
Lei conduce una trasmissione su Radio Roma Capitale. Qual è il sentimento prevalente dei cittadini?
L’esperienza della radio consente, a chi come me ha fatto e fa ancora politica da tanti anni dopo aver ricoperto incarichi istituzionali, di avere uno strumento di grande relazione con l’opinione pubblica. Gli ascoltatori t’insegnano diverse cose: ti danno innanzitutto una mappa quotidiana delle condizioni della nostra città e direi di tutta l’aria metropolitana e della regione Lazio. Uno spaccato dei problemi e del degrado, di ciò che andrebbe fatto e evidenziano anche le opportunità del nostro territorio. C’è disaffezione nei confronti delle istituzioni e della politica istituzionale perché una volta queste riuscivano ad accorciare le distanze tra i problemi sollevati dai cittadini e la soluzione mentre adesso camminano su due piani paralleli, raramente s’incontra il problema con la sua soluzione tanto è vero che strumenti come una trasmissione radiofonica rischiano addirittura di essere più efficaci rispetto a quello che erano una volta gli strumenti tradizionali della politica come le assemblee. C’è un grande spazio che prima o poi la politica dovrà colmare.
A cosa è dovuta la distanza tra politica e cittadini?
I partiti non ci sono più. Si sono trasformati in comitati elettorali per una degenerazione soggettiva di gran parte delle forze politiche ma anche perché è cambiata profondamente la società. Prima si studiava o si lavorava ma alle 5 di pomeriggio avevi il tempo libero per tornare alla tua sezione di quartiere e dedicarti all’impegno politico e civile. Oggi il lavoro è cambiato radicalmente: ci sono turni pomeridiani o contratti in cui si viene avvisati di dover lavorare due ore prima del turno, la divisione tra il tempo di lavoro ed il tempo libero non è più così netta come prima. Questo ha fatto perdere di significato alle sedi di partito, ai tempi di vita e di spostamento.
Come si forma la nuova classe dirigente?
Non è semplice, bisogna tornare ad alcuni fondamentali. È necessario ripensare a finanziare la politica, questa “balla” che la politica la devono finanziare i privati e che non è un servizio pubblico ovviamente incide molto, bisogna ricreare le scuole con strumenti diversi introducendo le nuove tecnologie web quindi i social, da associare ai vecchi volantini. Molti oggi pensano che basti scrivere la propria opinione sulla bacheca dei social e siccome mettono i like in questo modo sono convinti di aver risolto e sostituito il rapporto concreto, materiale direi quasi fisico con le persone. I social possono aiutare ma non sostituiscono il rapporto con le persone sia che s’intenda organizzare una battaglia di quartiere o per una lotta di lavoro.
L’esempio di Roma è lampante abbiamo nuove classi dirigenti dal punto di vista anagrafico ma del tutto impreparate rispetto a quelli che sono i compiti per amministrare una grande città come Roma per non parlare del paese.
Esiste una “ricetta” per i problemi della Capitale?
Si deve ridisegnare un’idea di città. Non bastano i singoli interventi pur necessari di ordinaria e straordinaria amministrazione che vanno dall’emergenza rifiuti, al verde pubblico, al traffico e mobilità. Bisogna avere un’idea di come Roma può crescere nei prossimi 20 anni. Dovremmo rimettere a studiare gli intellettuali, abbiamo 3 Università che potrebbero darci indicazioni di lavoro molto concrete. Credo che il futuro di questa città sia ecologico a partire dalla mobilità, dai tempi di lavoro, dal consumo del territorio. La parola chiave di Roma per i prossimi anni deve essere la conversione ecologica dell’economia.
Il verde pubblico è uno dei problemi importanti di Roma. In che modo può trasformarsi in risorsa?
Roma è la terza città per la fascia agricola intorno al perimetro della città ma anche dentro il tessuto urbano abbiamo una quantità di verde da far invidia a tutte le città europee, il problema è che manca un piano. Non c’è una valorizzazione turistica, non conosciamo neanche la diversità biologica del nostro verde pubblico. La conversione ecologica della Capitale è una delle priorità che può creare economia sostenibile, penso ai tanti posti di lavoro che si sono persi negli anni e si potrebbero recuperare con una riqualificazione del personale.
Non solo a Roma dovremmo fare la piantumazione di nuovi alberi ma anche la manutenzione di quelli già esistenti penso ai 70/80 mila alberi di strada per non parlare dei 300 mila che ci sono nei parchi pubblici. A Berlino in queste settimane stanno lanciando il progetto dei “tetti verdi”, ossia realizzare sui tetti dei palazzi dei veri e propri orti urbani che significherebbe trasformarli in spazi verdi che consentirebbero da una parte un migliore equilibrio dell’uso energetico negli appartamenti perché isolano e riparano dal caldo e dal freddo a seconda delle stagioni e dall’altra creano quel polmone verde che è fondamentale per un ricambio ecologico dell’aria.
Anche le zone centrali della Capitale sembrano in sofferenza?
Oggi purtroppo il centro di Roma si è omologato alla periferia in senso negativo. La mancanza di interventi economici, di iniziative culturali, stanno rendendo il centro molto più povero e simile alla periferia. I turisti che vengono a Roma vedono il Colosseo, fanno in mezz’ora il giro a piazza Navona, se sono cattolici vanno a San Pietro e ripartono, questo perché abbiamo un centro storico che è diventato poco accogliente, in alcuni casi degradato e sporco. Non c’è più questa distinzione tra periferia e centro.
E invece le periferie?
È evidente che Roma ha avuto uno sviluppo urbanistico, fino a prima della crisi, che ha consumato una quantità di suolo costruendo periferie brutte e poco vivibili, in sintonia con il nuovo modello del lavoro e quindi senza una vita di quartiere ma dormitori. Queste periferie sono anche il motivo per cui la città ha perso i legami sociali che l’hanno sempre caratterizzata. Roma continua a pensarsi come città dell’edilizia e dell’espansione edilizia nonostante le case non se le compri più nessuno perché i prezzi sono inavvicinabili rispetto ai salari e alla precarietà del lavoro.
Io credo che la grande sfida sia quella della riqualificazione urbana della rigenerazione, noi abbiamo quartieri che hanno 80/90 anni, auspico un grande intervento di riqualificazione urbanistica che darebbe un beneficio in termini economici e di posti di lavoro.
Progetto stadio a Tor di Valle: è così difficile costruire uno struttura del genere a Roma?
In realtà è complicato perché oltre allo stadio si vogliono costruire anche tante altre cose intorno che la legge consente ma che c’entrano poco con lo stadio. In nessun’altra città europea quando consentono la realizzazione di uno stadio di una società di calcio viene permessa una tale pressione urbanistica. Bisognerebbe fare leggi più chiare, patti più chiari con i costruttori di stadi, eliminando la burocrazia ma pretendere anche che ci sia un rispetto rigoroso dell’interesse pubblico, urbanistico e ambientale. La vicenda dello stadio della Roma è un incrocio mal riuscito tra un’esigenza giusta e tante cose che con lo stadio non c’entrano nulla, però ormai il progetto c’è quindi si faccia lo stadio, è un volano per l’economia. Lo si faccia in maniera sostenibile e rispettando i vincoli urbanistici, ambientali e di mobilità che nell’attuale progetto dovrebbero essere rafforzati.
L’ipotesi di spostare il progetto a Fiumicino invece risolverebbe la situazione?
Dire di trasferire il progetto a Fiumicino mi sembra un diversivo, significa che chi ha proposto lo stadio a Tor di valle prende atto di un fallimento progettuale e si deve ricominciare da capo. È tutta un’altra storia, vuol dire ammettere di aver sbagliato. Lo stadio è della Roma che si faccia a Roma, mi rifiuto di pensare che nella capitale non ci sia un’area alternativa se si deve cambiare rispetto a Tor di valle.
Da tifoso cosa pensa del futuro della As Roma?
Da tifoso sono preoccupato. Vedo una frattura enorme tra la società e la tifoseria. La gestione delle vicende Totti e De Rossi e i risultati negativi di questa stagione ma anche il fatto che da 8 anni non si tocca un trofeo, hanno creato una frattura difficilmente colmabile. Il tifoso della Roma è passionale si tifa a prescindere, come si dice “la Roma non si discute di ama”, in questo caso la possiamo anche discutere nelle scelte societarie che non mi sembrano tra le più felici. C’è molta preoccupazione anche nel rapporto con Francesco Totti, vedremo cosa succederà. Le bandiere della Roma andavano tenute un po’ più da conto senza romanticismo inutile ma sapendo che l’identità della Roma è fatta anche dall’aver avuto dei giocatori che oltre ad essere ottimi professionisti sono dei tifosi e questo è un valore aggiunto. Avendo vinto poche coppe almeno questi valori non devono essere toccati.