Ti viene voglia di capire, indagare, il senso di una festa dei cacciatori nell’afoso luglio 2024, che si è svolta sabato scorso a Ponzano Romano con grande partecipazione di popolo.

Cerchi allora gli organizzatori e quando li trovi inizi un viaggio indietro nel tempo, per antiche contrade. La festa – per i valori che celebra, per l’organizzazione e lo svolgimento – è uno spaccato di vita e valori degli anni 60/70. C’è un popolo che pensa alla caccia come pratica di integrazione alimentare, a quei tempi era così: per questo quasi tutti i contadini andavano in campagna con la doppietta a tracolla, oggi questa cultura resiste e ritiene di  svolgere un ruolo determinante nella tutela dell’ambiente e dei suoi equilibri faunistici e conosce a menadito il bestiario selvatico che abita le terre tiberine.

Gente che ha il suo pantheon pagano

Ha un suo pantheon di eroi a cui dedica templi. Si ritengono “sacerdoti” di un rito equilibratore. Ancora di più oggi che le terre di collina abbandonate sono più di quelle coltivate. Il nostro cicerone in questo mondo antico è il signor Marco Fani, gentile e generoso presidente dell’Associazione Locale: “La nostra è una festa di popolo – racconta – ma non siamo i soli. Le associazioni di cacciatori fanno feste a S. Oreste come in provincia di Viterbo o come a Forano, in provincia di Rieti. Andiamo avanti dal 2005, anzi fino a tre anni fa la manifestazione durava tre giorni e servivamo 1200 pasti”.

Fani, insieme ai suoi associati, gestisce un’Azienda faunistico venatoria di 1.200 ettari dove si può cacciare secondo il calendario regionale ma che viene utilizzata anche per il ripopolamento di specie a rischio di estinzione. “Custodiamo i valori della ruralità”, sottolinea.

La pratica della caccia da almeno due decenni non gode di buona stampa e il numero di chi la pratica si è dimezzato rispetto agli anni ‘90. Allora i cacciatori censiti erano un milione e mezzo in tutta Italia, oggi sono solo 700 mila. Tra questi gli irriducibili di Ponzano. 

La Festa 

L’organizzazione è mutuata pari pari dalle Feste dell’Unità.

Volontari al lavoro per montare e smontare le attrezzature, cucine,  tavoli, le signore ai fornelli, gli uomini alle griglie, figli e associati a servire ai tavoli. L’orchestrina di paese suona in attesa che scatti l’ora del “cha cha cha”. C’è folla alla festa dei cacciatori di Ponzano e penso si mangi anche bene, ma se chiudi gli occhi un minuto sei in una qualsiasi feste del giornale di Gramsci, un modello che ha lasciato il segno.

Cambia il menu. Qui regnano i piatti a base di cinghiale: pappardella al cinghiale, spezzatino di cinghiale, cinghiale fritto dorato, salsicce e braciole.  L’ungulato terrore delle metropoli e dei paesi limitrofi, qui torna ad essere semplice carne per cena.

“L’anno scorso la nostra squadra, siamo circa 80 – racconta Fani – ne ha cacciati 200, buona parte sono nei piatti di questa bella serata”. Secondo Fani la popolazione dell’ungulato invadente è oggi sotto pressione e destinata a diminuire di numero. 

Il pantheon

 

La tribù venatoria  di Ponzano ha un nume tutelare che viene celebrato ogni anno ad inizio della stagione della caccia con una funzione religiosa officiata dal parroco. L’evento si svolge in una grotta attrezzata a cappella di campagna, una sorta di tempio. E’ la vena delle cultura contadina magica e pagana che resiste al passaggio dei millenni. In genere il luogo è poco accessibile per via della vegetazione incolta ma il viale d’accesso è stato ripulito dai cacciatori proprio ieri per fare le foto. L’eroe venerato risponde al nome di Alberico D’Ubaldo, lo stesso a cui è intitolata l’associazione. Una sorta di cacciatore in purezza. L’uomo è vissuto nel secolo scorso e la storia racconta che per seguire la sua passione, già con moglie e due figlie a carico, rifiutò un lavoro sicuro in un ente pubblico a Roma.  Scelse di continuare la sua vita  in cerca di prede nelle terre del suo paese. Alberico andava a caccia ogni mattina. Alla famiglia assicurava un buon apporto di proteine nell’alimentazione, ma è pur vero che non si vive di sola cacciagione e il baratto era ormai in disuso. Dunque bisognava tirare su due soldi per campare. Per risolvere il problema nel  pomeriggio affilava coltelli e riparava doppiette, la sera, dopocena, serviva i clienti come barbiere. Si dice che appena maggiorenni le figlie andarono a vivere a Roma, con lui che fece sempre la stessa vita fino alla morte, con accanto la moglie. 

Il bestiario delle colline

Marco Fani, come i suoi associati, sa perfettamente quali animali selvatici abitano le terre sotto il Soratte fino al fiume e di ogni specie conosce diffusione e stato di salute. Nei boschi e nelle pianure trotterella furtivo, alla sua maniera, il lupo, una coppia che probabilmente cerca casa e un giovane solitario in dispersione. Vengono probabilmente dalla zona del Parco di Veio o dalle alture viterbesi. Seguono i cinghiali che sono tanti ma in contenimento perché predati oltre che dai cacciatori anche da lupi che fanno strage dei piccoli al seguito delle femmine. C’è l’istrice in gran numero, da qualche anno frequentano la zona tiberina daini e caprioli provenienti dalle confinanti Umbria e Toscana dove prolificano in abbondanza.  Propendono a diventare stanziali perché l’habitat è congeniale alle loro caratteristiche, la colonizzazione è iniziata. Seguono  le volpi e le lepri, la cui popolazione però è a rischio, e per mantenere la loro presenza occorre spesso reintrodurli.

L’invasione del colombaccio

Tra gli uccelli primeggia il colombaccio mentre la popolazione della starna che nidifica in pianura è a rischio non tanto per i predatori quanto per l’agricoltura. Al confine c’è poi l’universo dell’Oasi Tevere Farfa. “Viviamo immersi in una sorta di paradiso di cui siamo profondamente parte – dice Fani – al di là di ogni polemica e dell’opinione che si ha rispetto a chi pratica la caccia, noi svolgiamo un oggettivo ruolo equilibratore per la convivenza delle varie specie… capisco sia difficile da credere e accettare ma diamo un contributo notevole a salvaguardare ricchezza e armonia della nostre terre e, oltretutto, viviamo in pace con nostri riti e i nostri eroi”. Sono cacciatori simpatici.   

 

 

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