Per me si va nella città dolente,
per me si va ne l’eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
(Inf. III, 1-4)
La sala è scura. Poche luci illuminano in modo deciso e quasi aggressivo le tante opere che popolano la stanza. Sulla sinistra si staglia imponente una grande porta d’accesso, con i battenti chiusi, quasi a simboleggiare allo stesso tempo un’impenetrabile via di fuga: è da qui che si entra nella prima cantica della Commedia dantesca; è da qui che si scende verso l’inferno.
Se è vero che le celebrazioni per il settecentesimo anniversario dalla morte del Sommo Poeta hanno fin da subito catalizzato l’attenzione di quasi tutti i poli museali e culturali del Bel Paese, non ci aspettavamo che le Scuderie del Quirinale sarebbero riuscite ad assemblare una mostra così coinvolgente e ben fatta. A differenza di quella dedicata a Raffaello infatti, dove il percorso espositivo lasciava nel visitatore non poca confusione a causa della ricostruzione a ritroso della vita dell’artista, Inferno mette in mostra fin da subito i suoi punti di forza senza permettere mai che se ne distolga lo sguardo.
La lunga serie di opere (ce ne sono più di duecento tra dipinti, sculture, disegni e codici miniati) e citazioni letterarie disegna un doppio itinerario: il primo segue le infernali terzine dantesche e ricostruisce il viaggio di Dante e Virgilio nella voragine infernale; il secondo invece, intimamente legato al primo, ripercorre diacronicamente lo sviluppo del tema dell’inferno nella letteratura e nell’arte, non mancando di dimostrare come la guerra, lo sterminio, la follia e altri temi a noi vicini non siano altro che l’inferno sulla Terra. Entrambi i percorsi si ricongiungono poi nell’ultima sala che diviene metafora di una speranza: quella di uscire, prima o poi, “a riveder le stelle”.
Posti di fronte alla grande attrazione esercitata dal male sugli artisti nel corso dei secoli, si rimane incuriositi e allo stesso tempo contrariati e si esce dal museo con più di un pensiero per la testa. Inoltre, la peculiare bruttezza del tema, così tanto amato nell’arte, porta di nuovo a riflettere su quel grande interrogativo riguardo al fine dell’arte stessa: quest’ultima deve essere bella per poter dire qualcosa?
Le opere sono di indubbia qualità e gli accostamenti estremamente coerenti e comprensibili. Ci si imbatte in artisti del calibro di Beato Angelico, Botticelli, Von Stuck, Manet, Rodin, Bosch e molti altri, nonché in una meravigliosa tela del più famoso illustratore della Commedia, Gustave Doré. La presenza considerevole di artisti stranieri sembra poi voler dar risalto al ruolo di prim’ordine assunto da Dante nella costruzione di un immaginario collettivo ed esaltarne il successo oltre i confini italici. Probabilmente la mostra alle Scuderie del Quirinale costituisce una delle migliori occasioni per avvicinarsi ancor un po’ di più a quel “libro che tutti dobbiamo leggere” perché, come scriveva Jorge Louis Borges, “non farlo significa privarci del dono più grande che la letteratura può offrirci, significa condannarci a uno strano ascetismo”.
Per info e prenotazioni: https://www.scuderiequirinale.it/