In Italia ogni tre giorni una donna è vittima di femminicidio. Un numero impressionante. Un dato inaccettabile. Un numero che interroga, e non potrebbe essere altrimenti, le coscienze di tutti quanti noi.

Il 25 novembre di ogni anno si celebra la “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, istituita ventiquattro anni fa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per commemorare le donne vittime di violenza di genere.

Intorno a questa data, anche in Italia, le Istituzioni di ogni ordine e grado, Stato, Regioni e Comuni in primis, programmano e organizzano momenti di riflessione nell’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su questa spaventosa realtà e per aiutare tutti noi a prendere consapevolezza e comprendere la portata del problema.

A Morlupo, sabato prossimo 26 novembre, alle ore 17.30, presso la Sala Polivalente “Gino Sdoja” di Piazza Armando Diaz, patrocinata dal Comune, e organizzata dall’associazione Bottega d’Arte, in collaborazione con la CRI locale, si svolgerà l’evento “Semplicemente noi, donne. La forza delle donne che rinascono da se stesse”, in cui si parlerà di femminicidio prendendo spunto da un libro autobiografico, scritto da Cristina Fidanza ed edito da EMIA Edizioni, dall’inequivocabile titolo: “Mi sono fatta menare”.

Un libro che racchiude una storia vera. Una storia fatta di dipendenza e di violenza. Una storia raccontata in prima persona dalla protagonista. Una protagonista, Cristina Fidanza, che nel suo libro si presenta così: “Ho scritto questo libro non per mostrarmi, ma per mostrare fino a che punto può arrivare la dipendenza di una donna dall’uomo sbagliato”.

In vista di questo evento abbiamo parlato con lei.

Cristina Fidanza, fino a che punto, come nel suo caso, può arrivare questa dipendenza?

La dipendenza da mio marito è durata per lunghi quarant’anni. Una dipendenza che mi ha fatta vivere per lui dimenticando totalmente me stessa. Nemmeno io riesco ancora a credere fino a che punto io mi sia annullata per lui”.

Perché ha voluto scrivere questo libro?

Ho scritto questo libro per far pace con il mio passato, per perdonarmi e trasmettere la mia storia a tutte quelle donne ancora invischiate in un rapporto fatto di violenza e di dipendenza. La dipendenza affettiva spesso è subdola, non si vede. E proprio per questo è difficile da affrontare e superare”. 

Nel libro lei scrive: “Partorire me stessa è stato il dolore più grande provato nello scrivere questa mia autobiografia”. Perché?

Partorire me stessa è stato doloroso non tanto per il dolore provato nel raccontarmi quanto piuttosto nello scoprire chi io fossi realmente, al di là di quella donna succube che io sono stata al fianco di mio marito”. 

A chi è dedicato questo libro?

Questo libro è destinato alle donne, siano esse mogli, madri, ma anche a tutti quegli uomini disposti a cambiare e ad imparare cosa significhi rispettare una donna”.

Cosa prova ogni qualvolta una donna è vittima di femminicidio?

Un pugno nello stomaco, una forte identificazione e tanto, tanto, senso di impotenza. Provo dolore per tutto ciò che si scatena intorno ad un femminicidio. Si scandaglia nella vita della vittima… la si uccide due volte e si dà in pasto a figli innocenti madri a loro sconosciute”.

Cos’è l’amore, oggi, per lei?

L’amore è stima, rispetto, condivisione. Una donna non dovrebbe mai doversi difendere dall’uomo che ama. L’amore aggiunge, non toglie. L’amore non uccide”. 

Perché è importante celebrare la “Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne”?

È importante per non dimenticare le donne morte ammazzate, ma dovrebbe essere importante per aiutare le donne ancora da salvare. Dobbiamo fare in modo che ci sia un sistema che offra risposte certe a chi chiede aiuto. E su questo, ahimè, c’è ancora tanto da fare. E la mia storia, anche in questo senso, ne è purtroppo testimonianza…”.

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