Ormai è più di un decennio che la parola start-up è entrata a far parte del dizionario comune. È un nuovo modo di strutturare commercialmente un’idea innovativa frutto, molto spesso, di giovani menti. Un format lungimirante che ha modo di esistere grazie allo sviluppo di nuove idee che, almeno in prospettiva, possono rappresentare un’opportunità commerciale per le imprese disposte a finanziarle. Imprese che hanno a disposizione strumenti e fondi per supportare i progetti di chi, fresco di studio e dotato di una visione nuova, vuole inserirsi in un settore e portare una ventata d’aria fresca.

Ma forse, più di ogni cosa, ciò che rende il sistema start-up davvero così attraente è che dà la possibilità a chi possiede un progetto di svilupparlo con l’aiuto di chi l’esperienza sul campo ce l’ha e, possibilmente, senza bisogno di un investimento di partenza.

 

Affinché questo sistema funzioni, è necessario, però, che tra università ed impresa ci sia un dialogo fluido o, quantomeno, un intimo rapporto di collaborazione. Infatti, nel contesto start-up, università ed impresa sono due facce della stessa medaglia e, come in ogni dualismo, ogni parte ha il suo ruolo.

 

Da un lato l’università forma le nuove generazioni, fornendo un ampio bagaglio scientifico e stimolando le menti con una prospettiva sempre rivolta verso l’innovazione. Dall’altro lato l’industria rende possibile ciò che un’idea, da sola, non è in grado di materializzare. Insomma, il braccio e la mente della società che insieme, in un senso molto ampio, plasmano il futuro dell’industria.

 

Tuttavia, non sempre è così semplice.

 

Se esaminassimo il periodo storico attuale ci si renderebbe conto che stare al passo coi tempi non è gratis. Ha un costo, un costo che non tutte le realtà possono sostenere. E ciò, chiaramente, non è un bene. Non lo è per i consumatori che faticano a comprare e, di conseguenza, non lo è per l’industria che produce.

 

Questo discorso vale sia che si vendano consumabili biodegradabili per il settore odontoiatrico, sia che si producano software per la logistica. Il nuovo costa e, a meno che non ci sia un netto vantaggio economico rispetto al vecchio, la transizione richiede un investimento da parte di chi compra.

 

Se poi a questo problema di fondo si aggiungessero anche le difficoltà economiche in cui si trova l’Italia e la farraginosa comunicazione tra università ed industria si può capire la bassa predisposizione di questo Paese ad accogliere le nuove start-up. In fondo è un cane che si morde la coda. Se l’economia va male, l’industria soffre e non ha abbastanza fondi da investire in idee innovative, quindi le start-up non trovano finanziatori per crescere e di conseguenza o emigrano o finiscono per morire nell’attesa di emergere.

 

In fin dei conti la colpa è di tutti e di nessuno. È un sistema che non riesce a sostenersi da solo ma che allo stesso tempo prova a farlo. Quindi come fare per non lasciar svanire tutto?

 

Forse, risparmiando le energie. Anzi, efficientandole. Anche perché se i soldi sono pochi, bisogna investirli bene. È necessario, quindi, dare credito alle idee più semplici da realizzare e privilegiare quelle start-up che si pongono obiettivi a corto/medio raggio ma, soprattutto, è fondamentale avere un dialogo adeguato tra industria ed università. Solo così sarà possibile dare alle nuove idee una vera prospettiva commerciale, aprire una finestra sulle necessità del mondo dell’impresa e permettere quindi alle start-up di soddisfare un bisogno reale, piuttosto che crearne uno ex-novo.

Sponsor