A Castelnuovo di Porto c’è un abuso edilizio di dimensioni tanto sfacciate da non poter usufruire di nessuna delle pur numerose e generose sanatorie che si sono succedute negli ultimi 30 anni. Il processo di primo grado lo ha ibernato nella sua forma più devastante: una distesa di cemento armato. Da allora il complesso di Monte Tufello, nel territorio di Castelnuovo di Porto, è diventato il “mostro” ed è entrato nel tunnel della malagiustizia: lo Stato ha bloccato i lavori ma a causa dell’inefficienza del sistema giudiziario è diventato anche il curatore degli scheletri, il protettore dell’abuso. Fino a che non ci sarà il processo di secondo grado la selva grigia di cemento ormai ammalorato resta formalmente un bene privato sottoposto a sequestro e affidato alla tutela della Corte d’Appello che deve, per di più, proteggerlo dal degrado.

ecomostri
Ecomostri, Monte Tufello, Castelnuovo di Porto, Roma

Ecco la proposta de Il Nuovo che, con la sua carica utopica, punta a rompere il cerchio di questo incanto nefasto a Castelnuovo di Porto.

A partire dalla complessa e controversa storia giudiziaria che ha segnato Monte Tufello a Castelnuovo di Porto, si apre oggi la possibilità di immaginare un futuro diverso per questo luogo attraverso un ambizioso progetto di rigenerazione urbana, che fa della street art il suo fulcro. In un contesto in cui questa forma d’arte pubblica ha già dimostrato di essere uno strumento potente di trasformazione sociale e culturale in molte città del mondo, è lecito chiedersi se anche qui, tra le strutture incompiute, possa nascere una nuova narrazione capace di riconfigurare l’identità del territorio.

Il progetto, che a tratti può apparire utopico, si configura come una risposta alle sfide estetiche e urbanistiche che affliggono l’area. Esso richiede un’azione coordinata e corale delle istituzioni sovraordinate e statali, al fine di restituire vita e significato agli enormi scheletri di cemento che da oltre quarant’anni dominano la collina tra via Madonna Due Ponti e via di Monte Tufello. Questi edifici, simbolo di un fallimento urbanistico e giuridico, rappresentano un paradosso: una lottizzazione abusiva divenuta, di fatto, un bene tutelato dallo Stato.

La street art come strumento di rinascita

La street art, nelle sue molteplici forme e manifestazioni, ha radici profonde che affondano nel terreno fertile dell’espressione urbana e del dissenso sociale. Nata negli anni Sessanta e Settanta, principalmente nelle metropoli statunitensi come New York, questa forma d’arte ha inizialmente trovato espressione attraverso i graffiti, segnando un punto di rottura con le pratiche artistiche convenzionali e introducendo un linguaggio visivo capace di veicolare messaggi di protesta, appartenenza e rivendicazione identitaria.

Se i primi interventi furono spesso considerati atti di vandalismo, la street art ha saputo progressivamente guadagnare legittimità, divenendo un mezzo di dialogo tra artisti e comunità, capace di trasformare le più anonime superfici urbane in potenti narrazioni visive.

Critici come Rosalyn Deutsche e Claire Bishop hanno sottolineato come la street art – e più in generale l’arte pubblica e partecipativa – superando i limiti imposti dalle istituzioni museali e sovvertendo le norme spaziali tradizionali, si inserisca direttamente nel tessuto sociale della città, interagendo non solo con il contesto circostante ma riconfigurandolo.

L’idea che la street art possa fungere da catalizzatore per la rigenerazione urbana non è nuova, essa trova riscontro nei tangibili esempi virtuosi che vivono nel mondo: dal celebre quartiere di Wynwood a Miami, originariamente un’area industriale degradata divenuta oggi un palcoscenico internazionale per l’arte di strada, fino all’ex area industriale di LX Factory a Lisbona, trasformata in un vibrante centro culturale grazie all’integrazione di street art e creatività urbana.

Non serve andare lontano, basta guardare intorno a noi, per esempio a Ponzano con le due opere di Ligama, e ai numerosi e significativi interventi che stanno oggi sempre più ridisegnando il panorama urbano di Roma. Dal celebre progetto Big City Life, al numero 64, nell’area residenziale di Tor Marancia, che, dal 2015, ha trasformato le facciate di undici palazzine popolari in un museo a cielo aperto attraverso l’intervento di ventidue artisti provenienti da quattro diversi continenti, fino al quartiere di Ostiense: un tempo distretto industriale della città e trasformato oggi in un crocevia di cultura e creatività attraverso l’azione di artisti di fama internazionale. Un altro esempio emblematico è sicuramente quello del Trullo, i cui protagonisti – autodefiniti metroromantici – hanno fatto del luogo uno spazio partecipato in cui convivono in armonia street poetry e arte urbana. Così come As Above So Below, di Michela Picchi, il grande eco-murale che dallo scorso 25 giugno invade il piazzale antistante la stazione metro B Garbatella, trasformando un mero luogo di transito in un monumentale ambiente immersivo dedito alla fuga dalla frenesia urbana.

Così, alla luce di una storia complessa e di una visione ambiziosa per il futuro, il progetto di rigenerazione urbana a Monte Tufello rappresenta un’opportunità per riscrivere l’identità di questo territorio. Se la street art riuscirà a integrarsi in questo contesto, potrà non solo trasformare visivamente il luogo, ma anche avviare un processo di rinascita culturale e sociale, restituendo a quest’area nuova vitalità e significato.

Blu, Murale a Rebibbia, Roma
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