Uno spettacolo essenziale: due sedie, due leggii, una musicista, un attore, un pubblico ammutolito dalla loro arte. L’interpretazione di Massimo Popolizio fa tornare a casa, alla fine dello spettacolo, come se si fosse stati testimoni del rapimento e dell’uccisione di Giacomo Matteotti in prima persona, a 100 anni di distanza.

Teatro nelle Cave, massimo popolizio giacomo matteotti
Foto di Danilo Rossi

Ripercorrendo la carriera politica di Matteotti, lo spettacolo di Popolizio ha intrecciato i fatti politici alla vita privata e sentimentale del giovane deputato socialista, attraverso le lettere a sua moglie Velia Titta. Popolizio ha trasportato così gli spettatori in una spirale emotiva, evocando un tempo non così estraneo a quello attuale. Passo dopo passo, gradino dopo gradino, la spirale ha assunto l’aspetto di un Requiem politico per Giacomo Matteotti e le vittime dello squadrismo. Come lo spettacolo, diviso in diverse letture alternate al violoncello di Emilia Slugocka, gli artisti hanno espresso la gravità e la gradualità con cui il fascismo si è diffuso fino a diventare status quo nel Ventennio.

Teatro nelle Cave, massimo popolizio giacomo matteotti
Foto di Danilo Rossi

È stato facile provare empatia, rimanere inchiodati alla sedia, riconoscere parte del presente in quel passato così oscuro. Facile sentire un peso sullo stomaco alla descrizione dettagliata del rapimento in pieno giorno e dell’occultamento del corpo di Matteotti proprio a Riano, a pochi chilometri dal Teatro nelle Cave. Occultamento testimone di un disprezzo e di una spregevolezza accolti dal silenzio del Parlamento dopo il ritrovamento del corpo del giovane deputato socialista.

Accanto alla recitazione cruda di Popolizio, il Bach di Emilia Slugocka, malinconico, capace di imprimere nello spettatore la disperazione e l’impotenza suscitata tanto dalla vicenda storica quanto dal dramma sentimentale della relazione tra Giacomo e Velia, un “amore mai sbocciato”.

Foto di Danilo Rossi

Raccogliendo alcuni testi da “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, lo spettacolo ha ripercorso parte della carriera politica di Matteotti descritta nelle sue lettere malinconiche a Velia, che parlano di sedute parlamentari e di completi da lavare. La narrazione degli attacchi squadristi nella provincia di Fratta Polesine, dove Matteotti viene eletto, è cruda e dettagliata. Questi attacchi, metodici e mirati, avvengono di notte, sotto gli occhi della famiglia della vittima e degli stessi squadristi. Viene raccontato anche il primo rapimento del parlamentare socialista nella sua terra, con una descrizione del modus operandi degli squadristi, il cui scopo era suscitare vergogna oltre che paura, affinché la vittima non si trasformasse in martire.

L’ultima lettera recitata da Popolizio è una lettera scritta da Matteotti per la moglie, una lettera dove Matteotti è un marito e non un politico, una lettera d’amore che lascia la storia fuori dalla carta. La chiusa dell’attore non è cruenta, al contrario non può che sembrarci un fiore posato sulla martire lapide di Giacomo Matteotti.

Foto di Danilo Rossi
Teatro nelle Cave, massimo popolizio giacomo matteotti
Foto di Danilo Rossi

 

 

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