Sabato a Torrita Tiberina nel pomeriggio si celebra l’antico calzaturificio che ha segnato la storia del paese per quasi un secolo. Si punta a fare un museo e, addirittura, ad afferrare il futuro e riprendere la produzione.

Fin qui la notizia, che potrebbe essere archiviata tra le tante manifestazioni estive immaginate per passare il tempo in allegria ricordando i bei tempi andati, oppure attirare qualche turista di passaggio e raccontare, in questo caso,  la storia delle scarpe “made” in Torrita.

Invece è molto di più, dimostrare sul campo quanto sia vera quella frase, tanto citata quanto ignorata, che dice “senza memoria non c’è futuro”.

Ecco: sabato a Torrita nella piazza e nelle stradine del borgo va in scena l’esperimento di dare corpo e vita a quelle cinque parole, esperimento di popolo. 

La storia

Sembra quasi una favola. Nei primi anni del ‘900 nel Castello baronale di Torrita “abitava” il Calzaturificio Tiberino della famiglia Rossi. Gli operai lavoravano nelle antiche mura ma parte della produzione era affidata a laboratori sparsi nel paese. L’attività andava a gonfie vele, le calzature prodotte venivano assorbite dal mercato romano. Poi venne la prima guerra mondiale e come tutte le guerre i primi a pagarne il conto sono i cittadini. Torrita pagò il suo tributo di sangue e divenne più povera perché lo stabilimento venne chiuso. Con il ritorno della pace, la famiglia Rossi riprese l’attività con immutato successo. Era il tempo della ripresa e le belle scarpe prodotte tra le mura baronali godevano di grande successo. Ma non durò molto: una nuova guerra mondiale, la seconda, portò di nuovo alla chiusura dello stabilimento. In quegli anni però la figlia dei signori Rossi sposò un Ricciardi, facoltosa famiglia romana, leader nella distribuzione in tutto il paese di calzature di qualità tra cui quelle di Torrita. 

 

Il tempo dei Ricciardi

L’azienda della famiglia Ricciardi aveva negozi a Roma ed era presente sulla piazza milanese. I Ricciardi-Rossi negli anni ’50 diedero dunque nuovo impulso alla produzione puntando soprattutto sul lavoro dei piccoli laboratori famigliari. Le strette vie del centro storico di Torrita in quegli anni profumavano di cuoio. Si può dire che ogni famiglia ne gestiva uno. Il lavoro non mancò mai anzi crebbe sempre in modo esponenziale tanto che per esaudire la domanda  si rese necessario costruire una moderna fabbrica.

Il nuovo calzaturificio fu costruito poco fuori dal paese nei primi anni ‘60, dotato di macchinari moderni e impiegò 100 operai. Cento stipendi che ogni mese arrivavano nelle tasche delle famiglie, altri denari fluivano in quelle di chi gestiva laboratori privati che, seppur in numero minore, affiancavano la produzione dello stabilimento. In particolare per le rifiniture.

Le calzature di Torrita erano di gran pregio, un equilibrio perfetto tra industria e artigianato: le indossano, in quegli anni, attori e manager. star della moda, principi e industriali, insomma l’élite del paese.

Allora il lavoro conto terzi era molto diffuso: in altri comuni, per esempio, erano presenti laboratori di maglieria.  Negli anni ‘80 questa dinamica si chiuse. I cambi dell’economia mondiale, l’arrivo di aziende più forti portarono alla chiusura anche dello stabilimento sulla via Tiberina che rimase in abbandono per anni. Fu poi acquisito dal Comune e oggi ospita aziende artigiane. Nelle cantine e nei locali ormai in disuso rimasero  gli attrezzi per fare buone scarpe. Dalla tomaia al modello da indossare. 

L’orgoglio del lavoro ben fatto

Questa storia sabato sera riemerge in  tutta la sua bellezza celebrando la forza di un lavoro ben fatto e l’orgoglio di una comunità. Nelle vie del borgo sarà allestito un percorso che utilizzando gli attrezzi per anni rimasti in disuso nelle cantine racconterà tutte le fasi di costruzione di una scarpa ben fatta. Ci sarà chi lavora la tomaia, chi definisce il modello, chi mette insieme le varie parti. Alla fine del percorso la calzatura prenderà forma. Nella piazza di fronte al Castello, dove un tempo c’era il bar principale e si affacciava un negozio di alimentari, saranno appese le forme delle scarpe prodotte. 

Non solo celebrazione 

Ma come detto all’inizio non è solo una celebrazione della memoria quella in programma: c’è anche il sogno di una comunità. Prima dell’inizio della manifestazione è previsto un incontro a cui parteciperanno il sindaco che punta a realizzare un museo, gli eredi Ricciardi e una imprenditrice del settore, la signora Daniela Petrocchi, parleranno della possibilità di dare l’assalto al futuro.

L’imprenditrice porta in dote il progetto di una start up per riprendere il discorso chiuso negli anni ‘80, aprire una scuola. Gli eredi della famiglia Ricciardi invece doneranno al comune il marchio Eton, l’ultimo utilizzato dalla produzione dello stabilimento. Significa “E’ tutta opera nostra”.  

I protagonisti   

Alla base di questa storia non c’è l’intuizione solitaria di un assessore alla cultura ma l’azione corale del sindaco Rita Colafigli, di sei giovani del Servizio Civile e del consigliere comunale Giuliano Bozzitelli che, da oltre mezzo secolo vende e ripara scarpe nei mercati dei paesi della zona. Da Capena a Rignano, da Torrita a Fiano Romano. Il sogno di tutti è vedere se alle scarpe e tomaie appese nella piazza del Castello si allacceranno i fili di una nuova storia. Sabato vale la pena esserci per vedere se il miracolo si compie. 

 

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