C’è un triangolo delle meraviglie nella Valle del Tevere. Il perimetro tocca le due rive del fiume, i vertici sono due colline dove sorgono Fara Sabina, Monte Albano a Guidonia Montecelio. E poi in un leggero promontorio, quasi un terrazzo sulla piana, il sito del Lucus Feroniae a Capena.

Nei loro musei sono conservate le tre “mirabilia” della Valle: la Triade Capitolina, simbolo dello Stato Romano, si  trova presso il Museo Archeologico ‘Rodolfo Lanciani’ situato a Guidonia Montecelio; il ‘Carro del principe di Eretum’, sottratto dalla necropoli di Montelibretti, oggi in mostra nel museo di Fara Sabina e il bassorilievo dei Gladiatori che si trova presso l’Antiquarium Lucus Feroniae.

 

 

Recuperati dai Carabinieri dopo lunghe indagini

Opere di inestimabili bellezza e valore predate dai tombaroli. Arrivate nelle mani dei mercanti internazionali, hanno fatto il giro del mondo e sono tornate a casa dopo lungo esilio. Il recupero è avvenuto grazie all’opera dei Carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio Culturale, struttura considerata in questo campo eccellenza investigativa a livello mondiale. Fondamentale il ruolo del magistrato Giorgio Paolo Ferri, lo Sherlock Holmes dell’archeologia che, alla fine degli anni ‘90, con la sue indagini smantellò la “cupola” dei mercanti di antichità. Un lavoro prezioso che ha dato vita alla stagione dei ritorni, quella che ha riportato nei luoghi di origine le tre “mirabilia”.

 

La premessa

Dagli anni Settanta fino ai primi del 2000, tombaroli, antiquari, case d’asta, ma soprattutto grandi musei e collezionisti miliardari hanno prodotto, indotto, commerciato senza alcuna remora i beni rivenuti con  il saccheggio di almeno 10 milioni di tombe, domus romane. Hanno scavato perfino la lava del Vesuvio pur di rubare gli intonaci delle ville pompeiane. Il commercio illegale dei reperti archeologici diventò così, in breve tempo, il terzo malaffare a livello mondiale dopo il traffico di armi e di droga. Migliaia di reperti rubati alla terra dai tombaroli, reperti grandi e piccoli sono stati portati all’estero e venduti a cifre da capogiro. 

 

La cupola dell’arte rubata

Ad operare il commercio una “piramide di affaristi” con base in Svizzera composta da pochi individui che per decenni ha animato “l’Archeomafia”. Roberto Lai, luogotenente oggi in pensione del Nucleo carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale, tra i protagonisti delle più importanti indagini e recuperi di quegli anni, ha rivelato che: «I tombaroli spesso venivano assunti e pagati mensilmente da chi organizzava le ricerche. In quegli anni, ogni notte, nelle campagne del Lazio operavano decine di loro dando vita a un saccheggio sistematico della memoria”.

Ai tombaroli le briciole del grande banchetto

A chi scendeva nelle tombe anche rischiando la vita, i crolli erano frequenti, arrivavano però le briciole del grande banchetto. Tre esempi: il Cratere di Eufronio, un vaso di rara bellezza e intero, fu trafugato da una tomba inviolata a Cerveteri. I cinque tombaroli vennero ricompensati con 150 milioni di lire. Una cifra esorbitante per quei tempi, pari al premio della Lotteria Italia. Fu venduto nel 1972 al Metropolitan Museum di New York per un milione di dollari, il prezzo più alto mai pagato per una reperto archeologico. Lo tenne per oltre 36 anni in bella mostra nella sala principale. La sua esposizione fece il giro del mondo.

Il Vaso di Assteas, ancor più grande del Cratere di Cerveteri e di pari se non superiore bellezza, trovato per caso in Campania, venne acquistato per un milione di lire e un maiale e rivenduto al Getty Museum di Malibu per 500 mila dollari.

La Venere Morgantina, statua di oltre due metri rinvenuta in Sicilia, venne acquistata dai mercanti internazionali per tre miliardi di dollari e ceduta, sempre al Getty, per 18.

Distrutti quindici milioni di contesti archeologici

In base a stime ministeriali, dal 1970 all’inizio del 2000, si è consumata la distruzione di almeno quindici milioni di contesti archeologici. «Danni tali da poterlo considerare un crimine contro l’umanità» – scrive Tsao Cevoli dell’Osservatorio archeomafie – infatti, vasi, buccheri e bronzi possono essere datati ricorrendo all’esame del carbonio 14, ma privati della storia e del contesto in cui hanno riposato per millenni diventano, per quanto bellissimi e preziosi, oggetti muti”.

 

La Triade Capitolina 

La Triade capitolina, che si può definire come il Cenacolo della romanità, è stata pagata al capo dei tombaroli di Anguillara, Pietro Casasanta, uno dei più famosi nel Lazio, cinque miliardi di lire ma doveva rendere almeno il doppio in dollari. Rinvenuta nel 1992 nel Parco dell’Inviolata a Guidonia, è l’unico esempio completo esistente dei protettori dell’antica Roma. La scultura in marmo – riconducibile al periodo dell’imperatore Caracalla – rappresenta le tre divinità. Giove, al centro, tra Giunone e Minerva, tiene uno scettro nella mano sinistra e un fascio di fulmini nella destra. Ai piedi dei loro troni cerimoniali si trovano l’aquila, il pavone e la civetta, animali ritenuti sacri. L’opera, dopo lo scavo, fu spedita in Svizzera. Il “principe dei tombaroli” – così veniva chiamato l’uomo di Anguillara – pagò 100 milioni di lire ciascuno dei suoi collaboratori ma, quando nell’ambiente cominciò a circolare la notizia di quanto avesse riscosso, uno di loro pretese di più. Nel dissidio si inserirono i Carabinieri del Nucleo.

Indagini affidate al giovane Roberto Lai

Le indagini furono affidate a Roberto Lai, giovane luogotenente da poco tempo in servizio insieme al collega Filippo Tommasi. I due detective misero sotto controllo il  telefono del tombarolo che voleva più soldi e scoprirono così che l’uomo si sarebbe recato nel luogo del ritrovamento per recuperare un pezzo del braccio di una delle figure caduto durante le manovre di recupero. Lo trovò. Sulla strada di ritorno Lai e Tommasi lo fecero fermare da una pattuglia e requisirono il reperto. Il sequestro di fatto fece saltare l’affare che si stava già imbastendo in Svizzera. Infatti, se le forze dell’ordine hanno un reperto che si inserisce perfettamente nell’opera trafugata quella non ha più mercato perché può essere rivendicata e requisita dallo Stato italiano appena mette il naso fuori dal nascondiglio.

I due detective interrogarono di nuovo il collaboratore di Casasanta che, messo alle strette, questa volta raccontò più particolari. Seguendo le sue indicazioni il luogotenente Tommasi tracciò un identikit così preciso che si ebbe la certezza di trovarsi a inseguire l’unica raffigurazione marmorea della mitica Triade.

Il grande bluff del generale Conforti

Iniziò la caccia. Il generale Conforti, capo del Nucleo, indisse una conferenza stampa nel corso della quale comunicò l’eccezionale ritrovamento, raccontando che la Triade era già stata esportata in Svizzera, che i responsabili erano già stati individuati e avviate le rogatorie internazionali per arrestarli. Era un escamotage. L’improvvisa morte dell’anziano antiquario intermediario avvenuta mentre erano in corso le indagini, aveva infatti tolto alle forze dell’ordine la traccia principale per arrivare all’acquirente finale, ma funzionò. Due giorni dopo, infatti, gli emissari del misterioso collezionista che aveva la Triade si fecero vivi comunicando l’intenzione di restituirla. Il recupero  avvenne in un hangar nei pressi di Livigno, al confine con la Svizzera. I carabinieri aprirono la cassa e per la prima volta videro incisi nel marmo i volti degli dei protettori di Roma.

 

Il Carro del Principe di Eretum

Il carro di Eretum è stato trafugato agli inizi degli anni Settanta dalla Tomba 11 della necropoli di Colle del Forno a Montelibretti. E’ tornato in Italia nel 2016 e dal 2018 è esposto nel museo di Fara Sabina. Si tratta di un calesse da parata, parte del corredo funebre del principe-sacerdote di Eretum. E’ ricoperto da dodici lamine dorate, lavorate da artisti ciprioti o fenici con figure di animali veri o fantastici. Grandi uccelli ad ali spiegate, sfingi, leoni che mangiano cerbiatti e leonesse che coccolano i cuccioli. Il corredo comprende anche gioielli, il pettorale d’oro del principe, le armi, gli scudi, le cinture, i bronzi, le ceramiche.

Per decenni principale attrattiva del museo di Copenaghen

Il carro è stato restituito dal Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, che lo aveva acquistato nel 1971 per un milione e 200.000 franchi svizzeri. Il rientro è stato il frutto della diplomazia culturale inaugurata nel 2007 dal Ministero dei Beni culturali. L’accordo stipulato con il Ny Carlsberg Glyptotek prevede infatti  una serie di collaborazioni e di scambi a lungo termine tra il nostro Paese e la Danimarca. Il primo prestito di reperti è avvenuto nel 2018 con alcuni oggetti esposti nel museo danese, provenienti dalla Tomba delle Mani d’argento di Vulci, insieme a oggetti e corredi delle necropoli di Capena, Crustumerium e Fidene confinanti con l’area del ritrovamento.

I Gladiatori del Lucus Feroniae 

I gladiatori del Lucus Feroniae sono rappresentati in un bassorilievo composto da tredici imponenti blocchi di marmo di Carrara risalenti al I secolo a.C., che raccontano, con grande realismo e pathos, scene di combattimento. Decorano tre lati di un grande monumento funerario dedicato a un importante magistrato romano. I primi dodici blocchi vennero scoperti nel gennaio del 2007 dai carabinieri del Nucleo Tpc in un terreno privato a Fiano Romano, nascosti, forse per 16 anni, sotto un modesto strato di terriccio. I tombaroli avevano intenzione di venderli a pezzi separati per ricavarne 10 milioni di euro. In realtà, riuscirono a piazzare all’estero solo uno, rintracciato dai carabinieri in Olanda nel 2018. Insieme ai blocchi furono rinvenuti anche la parte inferiore di una statua togata, i resti di un’iscrizione e numerosi elementi di cornici e decorazioni.

Il regno di Ali Babà in Svizzera

Nel 1997 la magistratura  italiana riesce finalmente  ad avere il permesso delle autorità svizzere di perquisire il “sancta sanctorum” del famoso acquirente svizzero di tutti i beni scavati nel centro sud Italia nella zona franca di Ginevra. Il deposito di Giacomo Medici nella zona franca di Ginevra. E’ la fine del sistema. Il team investigativo italiano  si trova di fronte a 240 metri quadrati zeppi di antica bellezza, in cui erano custoditi con cura 4.000 reperti, per lo più di origine etrusca. 

Un raccolta grande quasi come quella di Villa Giulia

Vasi, bronzi, olle e addirittura tre pareti di affreschi di una villa di Pompei, forse scavata a Boscoreale, ma mai individuata. Centodiciotto vasi e bronzi già restaurati. Il tavolo centrale che funzionava da reception sorretto da un capitello romano trafugato a Villa Celimontana, Roma. C’era così tanto materiale e di così gran valore che l’archeologa Antonella Rizzo, incaricata dal pubblico ministero insieme ad altri esperti di catalogare uno a uno gli oggetti, disse: «Quella raccolta valeva quasi quella ospitata nel Museo Etrusco di Valle Giulia».

Giacomo medici al MMA di New York

Lo “svizzero”

Il mitico e misterioso “svizzero” citato per anni a mezza bocca dai tombaroli di ogni paese del Lazio ha finalmente un nome e cognome: Giacomo Medici. Dal 1972, quando trasferì la sua attività nella zona franca di Ginevra per aprire il suo “atelier delle antichità rubate”, è stato il grande “mouse” del commercio internazionale di beni archeologici. Per 40 anni con un click ha comprato e venduto, con un altro ancora era collegato con i direttori dei grandi musei. Tesseva alleanze, forniva consulenze. La sua «riserva» di caccia era l’area archeologica di Cerveteri, alle porte di Roma. Radicato e benvoluto, aveva con i tombaroli un rapporto di fiducia inattaccabile

La bancarella a Porta Portese

Il commercio illecito di reperti etruschi e romani è stata sempre la sua attività principale. Negli anni Sessanta, il giovane Giacomo ogni mattina arrivava in zona a Cerveteri con la sua Cinquecento, faceva il giro degli amici, pagava e tornava a Roma con il carico di resti ancora sporchi di terra. Li vendeva anche a Porta Portese. Fu il primo a vedere il Cratere di Eufronio e intuirne l’immenso valore.

Medici ha commerciato almeno 20.000 oggetti

Per la magistratura Medici è stato «il punto centrale di riferimento per almeno 20.000 oggetti» scavati di frodo dai quali ha ricavato almeno 30 milioni di euro. E’ stato protagonista delle transazioni più prestigiose. Sono passati per le sue mani i finimenti di bronzo dorato del Carro di Eretum – risalente al VII secolo a.C. e trafugato in Sabina. Il Getty ha acquistato  da Medici almeno 42 pezzi. Nel 1997 la sua carriera da corsaro si è conclusa. E’ stato arrestato e processato, l’unico della “cupola” a essere condannato. Oggi vive libero nella sua mega villa a S. Marinella, in terra etrusca, la stessa dove ha scontato la pena di otto anni e mezzo  ai domiciliari. Le  “mirabilia” della Valle del Tevere sono tornate nel contesto originario e  raccontano grandi storie.

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